L'obiettivo era e resta la salvezza, ma la storia insegna che quando di mezzo c'è la Virtus è lecito aspettarsi un po' di tutto. Come quando, negli anni 80, piazzò l'incredibile filotto Serie A-Coppa Campioni-Coppa Intercontinentale, o quando nel 2013 tirò fuori dal nulla una stagione strepitosa, insidiando i campioni della Mens Sana fino a gara 3 nello scontro scudetto. Ora, tornata in Serie A dopo 4 anni di purgatorio in A2, Roma si affida alle giovani mani del patron Alessandro Toti, figlio dello storico presidente Claudio e di anni 25, per navigare nelle acque delle umiltà ma senza nascondere l'ambizione di ritornare ai fasti del passato: “Il nostro primo obiettivo era e rimane la salvezza – ha detto il presidente in un'intervista al Corriere dello Sport -. Ancora non abbiamo ottenuto nulla però ci stiamo allontanando dalla zona bassa della classifica. Magari questo ci darà un po’di consapevolezza e fiducia nei nostri mezzi per potere, chissà, guardare più in alto, senza dimenticare il nostro traguardo”.
Questione di tifo
Il punto è che la rinascita della Virtus trova l'intoppo di sempre: grandi costi, alti investimenti “di proprietà” ma pochi esterni e, soprattutto, risposta di pubblico limitata ai fedelissimi o, come lamentava il patron Toti proprio all'indomani dell'incredibile stagione 2012-2013, al cosiddetto “tifo da finale”. Nemmeno per la serie finale contro Siena, in quei giorni d'euforia, il presidente volle spostare nuovamente l'allora Acea Roma al Palalottomatica, decisamente più capiente del PalaTiziano, dove si giocava, proprio per evitare un'affezione dell'ultimo minuto a una squadra che, per tutta la stagione e pur con un organico di tutto rispetto (tanto per citarne qualcuno, in quella squadra giocavano Gigi Datome, Gani Lawal, Phil Goss, Lorenzo D'Ercole e Bobby Jones), aveva giocato ben al di sopra delle aspettative. All'epoca fu irremovibile il presidente, preferendo puntare sul “patrimonio dei 3 mila fedelissimi” piuttosto che su una cornice di pubblico più ampia ma decisamente meno appassionata.
Costi e sponsor
E, a distanza di sette anni e con quattro di A2 in mezzo (frutto di un autodeclassamento), il problema si ripresenta: “Da tanto tempo – ha detto Alessandro Toti al Corriere – la famiglia Toti da sola si fa carico delle grandi spese della pallacanestro romana. Lo stiamo facendo anche quest’anno per questo non riteniamo corretto fare un ulteriore investimento. Il problema è che ancora una volta abbiamo ricavi inadeguati. Siamo, assieme a Trieste, l’unico club senza un title sponsor. E questo ci penalizza. Così come siamo tra le ultime società per abbonamenti sottoscritti e presenze spettatori“. Un discorso che ritorna e che divide la tifoseria capitolina che, a ogni modo, continua a restare fedele alla squadra capitolina, sperando in una nuova era di soddisfazioni. La Virtus ci sta provando, è tornata al PalaLottomatica, resta senza title sponsor ma con il suo zoccolo duro di tifo che il suo apporto non lo fa mancare. Il nodo, semmai, resta capire quale sia il futuro del basket a Roma, se il campo si renda appetibile per favorire investimenti o se l'abisso con altri sport sia destinato a essere un deterrente troppo importante per essere colmato.