Doccia fredda (è proprio il caso di dirlo) per l’Olimpiade invernale sudcoreana, prevista a Pyeongchang il prossimo anno. La National hockey league statunitense ha infatti annunciato che, per l’impegno a cinque cerchi, non concederà il beneplacito ai giocatori professionisti della lega. Risultato: ai Giochi non saranno presenti, salvo ripensamenti (che avrebbero però del clamoroso), i pattinatori che militano nel campionato nordamericano. A darne notizia, o meglio, conferma è stata la stessa Nhl che, in un comunicato, ha spiegato come “la grande maggioranza dei nostri trenta club si oppone con forza a una sosta di sedici giorni che, nel mezzo del prossimo campionato, permetterebbe ai nostri migliori atleti di rappresentare ai Giochi i propri Paesi”. Uno scenario che, in modo alquanto pesante, andrà a influire sul livello della competizione che si svolgerà sul ghiaccio di Pyeongchang, palesando uno scenario peraltro non del tutto nuovo nell’ambiente: una situazione simile, infatti, si era verificata già in occasione delle Olimpiadi norvegesi di Lillehammer, nel 1994.
Le motivazioni Nhl
La decisione, in realtà, non è arrivata in un giorno. Il tira e molla fra Nhl e Comitato internazionale olimpico va avanti da diversi mesi, in una bagarre che, nell’ultimo periodo, ha tirato in ballo anche l’associazione dei giocatori, la Nhlpa, tutt’altro che favorevole alla decisione della lega nonché “estremamente delusa e assolutamente in disaccordo con questa decisione”. A decretare le motivazioni del diniego, le richieste disattese, a detta della Nhl, legate alla limatura dei danni che, a suo giudizio, sarebbero arrecati al campionato nordamericano dalla consistente interruzione, dai problemi di fuso orario e dal rischio infortuni. Problematiche alle quali l’Iihf, la Federazione internazionale dell’hockey, ha cercato di venire incontro, garantendo la coperture delle spese assicurative e di viaggio per i giocatori.
I giocatori: “Opportunità sprecata”
Niente da fare: per la Nhl quello di Pyeongchang è “un discorso chiuso”. I migliori giocatori della disciplina, a questo punto, dovrebbero restare a casa, rinunciando a quella che è stata definita “la più grande opportunità di propaganda per questo sport” da Henrik Lundqvist, portiere dei New York Rangers, nonché campione olimpico con la Svezia ai Giochi di Torino del 2006. La decisione, infatti, non ha incontrato il parere positivo dei diretti interessati (gli hockeisti). Anzi, qualcuno ha già fatto sapere che, comunque si metteranno le cose, in Corea del Sud ci andrà lo stesso. Come il russo Oveckhin, dei Washington Capitals: “Tutti noi sappiamo cosa un’Olimpiade rappresenti, tutti vogliamo partecipare: io ci andrò comunque”. Cosa succederebbe in tal caso? Ancora non è chiaro ma, a questo punto, è lecito aspettarsi qualunque mossa: da un lato, infatti, le motivazioni prettamente economiche poste dalle franchigie reggono fino a un certo punto, anche considerando le corpose cifre stipulate per i diritti televisivi; dall’altro, i potenziali protagonisti premono, e anche molto, per rispondere alla chiamata dei propri Paesi. Un mix decisamente bollente.