Shashin-ka, una fotografa. Un termine che inquadra un mestiere ma anche un modo di leggere la vita: perché a ben pensarci la fotografia è una delle più raffinate forme d'arte, l'unica in grado di immortalare davvero un frammento di vissuto e forse la più difficile che consenta di coglierlo, visto che tutto sta nella sensibilità di chi scatta e nella capacità innata di saper scegliere come e quando immortalarlo. E anche nell'abilità di capire perché scattare, quale sia quel momento irripetibile da fermare per sempre. Paola Ghirotti è una “shashin-ka”, come la conoscono nel suo Giappone: un Paese che attraversa da trent'anni, che ha conosciuto nella sua quotidianità, nelle sue tradizioni, riuscendo a coglierne la bellezza sia nei suoi aspetti più intimi, quelli legati alla sua cultura millenaria, che nei suoi passi verso la modernità. Una sintesi perfetta di appartenenza ancestrale e occhio vigile sul cambiamento, convogliati in opere come “unGiappone”. Ma “Giappone e tradizione” non le hanno impedito di conoscere anche altri mondi, compresi alcuni estremamente lontani, almeno apparentemente, dal suo modo di intendere la fotografia. Il 17 aprile 1994, sul circuito giapponese di Aida, si corre quello che, allora, si chiamava ancora Gran Premio del Pacifico. Fra i grandi assi della Formula 1 dell'epoca c'era anche Ayrton Senna: “Io mi sono sempre occupata di altro – racconta Paola Ghirotti a In Terris – ma a Suzuka, nel 1989, sono rimasta colpita dal carisma di quel pilota. L'ultima volta che l'ho fotografato è stato proprio ad Aida, il 17 aprile 1994. Ayrton sarebbe morto a Imola il primo maggio seguente. Sarei dovuta andare anche lì ma, per una serie di circostanze, alla fine non ci andai“.
Un rullino in un cassetto
Un incontro, quello con Senna, che oggi rivive nella mostra “#MeuAyrton – Ayrton Senna alla velocità del cuore“, in programma al Todi Festival dal 24 agosto al 9 settembre, e che Ghirotti legge con la sensibilità propria di chi coglie frammenti di vita attraverso l'obiettivo: un'affinità fatta di sensibilità e riflessione, tale da non aver bisogno di tanti scatti per cogliere l'essenza dell'uomo e del pilota. “Avevo un rullino di foto di Ayrton che avrei dovuto sviluppare in Giappone, in un cassetto che ho tenuto chiuso per oltre vent'anni. Provai soltanto una volta ad aprirlo ma, appena l'ho fatto, sono scoppiata a piangere. Se quel cassetto è stato aperto, in alcune circostanze, è stato per fattori non generati da me”. Con qualche eccezione, perché la condivisione del ricordo riesce anche a fare del bene: “Cinque anni fa, un gruppo di brasiliani che avevano visto quelle foto, avrebbero voluto vedere qualcosa di più del mio archivio: hanno talmente insistito che io l’ho aperto per loro, anche in virtù del fatto che le foto erano per degli insegnanti e che sarebbero andate nelle favelas, dove Ayrton è un mito”.
Voglia di… Senna
Quando Senna scompare, nel 1994, sportivi e non si resero conto che con lui non se ne andava solo uno dei migliori piloti di Formula 1, ma anche un idolo della gente comune, un driver capace di rendere le corse e la velocità alla stregua di una lettura filosofica della vita. Forse per questo la caratura del campione ha fatto presa in così tante persone, le più semplici, coloro che nel suo modo di intendere la competizione vedevano la giustificazione della loro ammirazione: “Negli anni che seguirono sono entrata in alcuni gruppi di fan di Senna che avevano visto le mie foto e che avrebbero voluto una mostra. Io non ne avevo molta voglia, men che meno in grossi spazi. Todi è stata una soluzione uscita in un secondo momento: io ho un archivio fotografico che sto trasferendo e la mostra doveva inizialmente essere a Urbino. Non se n'è fatto nulla perché io ero in Giappone per la mostra sul nucleare 'Watashi wa wasurenai', 'Io non dimentico', allestita con i miei scatti realizzati un mese dopo il terremoto del Tōhoku”.
Ayrton Senna – Foto © Paola Ghirotti / un Giappone
Pochi scatti
Lavori diversi: dopo il sisma c'era da inquadrare e immortalare una realtà distrutta e quanto di bello era stato perduto, nella febbrile attesa del paddock, si cercava di cogliere istantanee di quiete prima della sfida a trecento all'ora. “Le mie immagini di Senna non sono poi molte perché, come si dice, ogni foto ruba l'anima. Quindi limitavo molto i miei scatti, anche considerando che ai tempi si lavorava con la pellicola. Inoltre io non facevo quel genere di foto, non avevo la quotidianità, erano più fotografie da magazine”. Di grandi piloti ce n'erano ma Ayrton era diverso: “Aveva un carisma particolare. Mi aveva colpito questa sorta di meditazione, il suo viso e il suo corpo avevano un linguaggio alto. Io ho avuto una grande fortuna, quella di fotografare i 'grandi vecchi' e questo ha forse abituato il mio occhio fotografico a vedere determinate cose. Ho avuto la fortuna di fotografare persone diventate importanti e Senna mi ha dato qualcosa che non vedevo in Prost né in Alesi. Mansell mi divertiva ma Ayrton era altro”.
Una figura affascinante
Una figura, quella di Senna, intrisa di un'aura quasi mitica che, anche per le giovani generazioni, quelle che non hanno visto i suoi gran premi né osservato la sua preparazione alle gare, lo rende un idolo o, quantomeno, un personaggio affascinante, da conoscere: “Me lo dimostra la marea di ragazzi di tutte le età che lo seguono, giovanissimi che restano a bocca aperta davanti alle mie foto. A volte mi sembrava quasi fosse una seduta psicanalitica stare in sala, le persone scoppiavano a piangere. E così è successo cinque anni fa, in Giappone. Sono venute anche persone che non sapevano chi fosse Senna, che sono riuscite a entrare in quel mondo che non appartiene solo ai brasiliani. D'altronde è sempre stato così: quando il feretro passò sul camion dei Vigili del fuoco, cinque milioni di persone resero omaggio al campione. Gli spalti, durante i gran premi, erano solo Ferrari e Senna. La gente era per lui, anche i ferraristi che, sportivamente, non lo potevano vedere. Obiettivamente era un campione”. E, anche a distanza di venticinque anni dalla sua morte, Senna continua a fare del bene: “C’è la sua fondazione, 23 milioni di bambini scolarizzati che, in un mondo così, non è male. E questo dà la misura della sua figura”.