Kobe Bryant era una leggenda del basket, forse il giocatore che più di tutti ha scritto la storia della pallacanestro insieme a Michael Jordan. In queste ore segnate dal dolore, la stampa di tutto il mondo scrive intere paginate sull’eccezionale carriera del campione, i titoli vinti nell’Nba e i due ori olimpici, così come non lascia dettagli nel raccontare il tragico schianto dell’elicottero, in cui hanno perso la vita anche la figlia Gianna di 13 anni, altre due ragazze adolescenti, un allenatore di pallacanestro, una assistant-coach e il pilota del velivolo. Anche chi è illuminato da una visione cristiana della morte resta scosso dalla scomparsa prematura di questo fuoriclasse dello sport di appena 41 anni, tra l’altro rimasto molto legato all’Italia dopo esserci vissuto dai 6 ai 13 anni al seguito del padre anch’egli giocatore.
L'impegno nel sociale
Il turbamento che proviamo tutti noi oggi è quello dell’inspiegabilità del decesso violento e improvviso di un uomo giusto, campione anche fuori dal campo con decine di iniziative benefiche dell’organizzazione fondata con la moglie, la Kobe & Vanessa Bryant Family Foundation, che si impegna nel sociale verso i più giovani abitanti di Los Angeles in difficoltà economico-sociali.
La riconciliziane
In altre epoche, i cristiani pregavano Dio affinché evitasse loro una morta improvvisa, in modo tale da avere il tempo, attraverso la malattia, di riconciliarsi con le persone e di espiare i propri peccati. Oggi anche le persone che vanno in chiesa sperano invece di andare via velocemente, senza dolore. Non sappiamo cosa potesse pensare Bryant a riguardo ma possiamo dire con certezza che Kobe nella vita aveva fatto i conti con i suoi fantasmi e con i suoi peccati, chiedendo perdono e cercando la riconciliazione con quanti aveva ferito, da vero uomo quale era.
Il trasferimento in Italia
Nato nel 1978 a Filadelfia, Kobe era cresciuto in una famiglia cattolica romana. Quando aveva sei anni, la sua famiglia si trasferì in Italia, a Rieti, e forse allora respirò anche lo spirito di quella che San Francesco aveva chiamato la Valle Santa. Nel 2001, quando aveva 23 anni, sposò la diciannovenne Vanessa Laine, anche lei cattolica. Il matrimonio si tenne presso la chiesa cattolica romana di St. Edward a Dana Point, in California. Due anni dopo, nel 2003, è nato il loro primo figlio.
Le accuse e il processo
Sempre nel 2003 la vita di Bryant è stata sconvolta per sempre da un grave episodio dal quale uscì più forte di prima solo grazie all’aiuto della fede. Il giocatore fu accusato di aver stuprato una giovane donna nella sua camera d'albergo mentre era in Colorado per un intervento al ginocchio. Kobe ammise l’adulterio contro sua moglie ma negò fermamente di aver violentato la donna. Le conseguenze sulla carriera furono pesantissime, importanti sponsor ritirarono il loro contratti, le vendite della sua maglia crollarono e la sua reputazione generale fu gravemente danneggiata. Un anno dopo, un giudice assolse Kobe dalle accuse di stupro. Intanto il campione rilascio una dichiarazione pubblica in cui chiedeva scusa alla donna, alla sua famiglia. Richiesta di perdono che fu rivolta pubblicamente anche sua moglie, ai suoi figli e al popolo della città del Colorado dove si era verificato l'incidente.
La fede che da forza
In un’intervista rilasciata nel 2015, ha spiegato come si è appoggiato alla fede cattolica per superare il calvario: “La sponsorizzazioni erano davvero l'ultima delle mie preoccupazioni. Avevo paura di andare in prigione? Sì ero terrorizzato. L'unica cosa che mi ha davvero aiutato durante quel processo – sono cattolico, sono cresciuto cattolico, i miei figli sono cattolici – è stata parlare con un prete”. Il campione ha quindi ricordato alcune delle parole scambiate con il sacerdote: “Mi guarda e dice: L'hai fatto? E io dico: certo che no. Poi mi chiede: hai un buon avvocato? E io dico: Uh, sì, è fenomenale”. Quindi il sacerdote ha aggiunto: “Lascia fare l’avvocato, vai avanti. Dio non ti darà nulla che tu non possa gestire, e ora è tutto nelle sue mani. Questo è qualcosa che non puoi controllare. Quindi lascialo andare. E quella fu la svolta”. Kobe si affidò a Dio è fu assolto da ogni accusa, nel frattempo il suo matrimonio era comunque stato messo alla prova, la moglie chiese il divorzio ma si riconciliarono nel 2013 e annullarono la separazione. Quanto raccontato dallo stesso Bryant alla stampa Usa ci ricorda che la Chiesa e Cristo sono sempre pronti a soccorrere chi si è perso nella disperazione e nel peccato. La cosa peggiore è infatti la perdita della speranza negli occhi di chi abbiamo intorno, per questo motivo ora la stessa Chiesa che ha abbracciato Kobe dovrà sostenere la moglie Vanessa e le tre figlie più piccole che hanno perso un padre e una sorella. D’altra parte nel mistero doloroso della morte si può solo ricordare la promessa su cui si fonda tutta la fede cristiana. “Se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra fede” dice San Paolo nella prima lettera ai Corinti