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Il Toro e la sua gente si radunano a Superga: insieme per un “quarto d’ora granata”

Quel giorno, probabilmente, assieme al trimotore che trasportava gli eroi del Grande Torino e che, cadendo, fermò le loro vite alle 17.03 del 4 maggio 1949, si fermarono, per un momento, anche i cuori degli sportivi italiani. Perché il Torino di allora non era solamente una squadra: era l’identificazione sportiva di una parte di città che, del granata, aveva fatto il colore della sua passione. Quello che giocavano Mazzola e i suoi compagni non era semplicemente calcio: era un misto di grinta, tenacia, amore per lo sport e per i tifosi, un connubio perfetto di tecnica, talento e cuore. E insieme a loro caddero le lacrime ma quelle, forse, non scivolarono subito: l’incredulità, lo stupore per quello che successe ma che non poteva essere successo davvero, era troppa. E Indro Montanelli non mancò di farlo notare sulle pagine del Corriere della sera, in quel 7 maggio del 1949 che, oggi, sembra un po’ più vicino: “Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto ‘in trasferta’”. Lo abbiamo creduto tutti, fino a oggi. E continueremo a crederlo, nonostante tutto e nonostante tutti. Perché la denigrazione della memoria non potrà sminuire il valore di una squadra che, ogni domenica, regalava a migliaia di cuori il personale “quarto d’ora granata”. Allora, nel glorioso Stadio Filadelfia, lo annunciava uno squillo di tromba. Oggi, lo annuncia l’udire quel nome: Toro.

Insieme, col Toro e per il Toro

“La nebbia cancellava Superga”, dissero in seguito. Su quel tragico volo, da Lisbona a Torino, il 4 maggio di 68 anni fa non si salvò nessuno. Restava solo quell’appellativo, “grande”, da gridare a chiunque per sostenere che quella squadra lo era stata davvero. Per questo motivo il Torino è ancora in trasferta, nonostante la storia abbia continuato a camminare e le casacche granata siano state indossate da altri calciatori. Il vecchio Toro è sempre lì, a giocare la sua amichevole con la storia, a raccontare a chiunque sussurri il suo nome che la grandezza, loro, se l’erano conquistata, così come avevano costruito la loro strada verso l’immortalità sportiva. E quel pubblico che loro avevano amato, oggi, sul fianco di quella montagna dove la storia divenne leggenda, si raduna per vivere insieme il quarto d’ora granata, per giocare in trasferta assieme a loro. Ancora una volta.

Le lacrime del cielo

E allora, la collina si colora di un rosso dalle tonalità scure, mentre il toro rampante campeggia più che mai fiero sulle bandiere. Oggi, come nel 1949, il cielo è nuvoloso e cade un po’ di pioggia. Non è una novità per questa ricorrenza. E’ come se, in fondo, quel cielo che sulla vetta di Superga è un po’ più vicino, volesse piangere assieme al popolo granata, riportando per un momento gli Invincibili nel luogo dove il loro sogno si infranse. Un attimo, un quarto d’ora appunto. Poi il ritorno, in alto, per tornare a giocare la loro “trasferta”.

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