Si ritirerà probabilmente con l'oro olimpico ancora in tasca Andy Murray, campione a Londra e Rio de Janeiro, due volte trionfatore a Wimbledon, una al Flashing Meadows di New York ed ex numero uno Atp. Mentre dava la notizia (ancora solo una probabilità) non è riuscito a trattenere le lacrime: un momento di incredulità lungo una vita ha pervaso la sala conferenze di Melbourne, dove il tennista britannico ha paventato la possibilità di lasciare quella che fino a un paio d'anni fa era una carriera all'apice e, in apparenza, destinata a migliorare ancora. L'anca, quella operata un anno fa proprio a Melbourne, fa male ha detto. Gli impedisce di giocare come vorrebbe e, nondimeno, come saprebbe. L'ultimo accenno di vero Andy si era visto a Wimbledon nel 2017 e, già allora, il problema all'anca destra aveva iniziato a manifestarsi, impedendo allo scozzese di esprimersi sui livelli consueti e cedendo a Sam Queerey ai quarti di finale. Di lì, l'inizio di un calvario: niente Us Open, si ritira. Poi l'operazione, il buon esito, la speranza di tornare il Murray autentico ma, a quanto pare, solo un'illusione.
Campione fra i campionissimi
La notizia ha letteralmente scioccato il mondo del tennis, incredulo che il problema riscontrato nel 2017 possa davvero mettere fine alla carriera del miglior giocatore britannico degli ultimi 50 anni. Un possibile addio reso ancora più amaro dal fatto che il dolore potrebbe impedire ad Andy di finire a Wimbledon, come avrebbe sognato. Un momento di tristezza che ha pervaso il clima di festa degli Australian Open, dove il cinque volte finalista potrebbe terminare troppo presto la sua carriera che, a ogni modo, lo ha reso un eroe sportivo in patria: primo britannico Atp ad arrivare alla finale di Wimbledon dal 1936 (l'ultimo fu Fred Perry), dal 1977 (vittoria di Virginia Wade) se si considera anche il singolare Wta; primo britannico (dopo la stessa Wade) a imporsi in uno Slam dopo 35 anni, vincendo l'Us Open nel 2012 e, un anno più tardi, il primo del tennis anglosassone a mettere le mani sulla coppa del torneo di Londra dal trionfo di Perry. In mezzo, il titolo di campione olimpico ottenuto nei Giochi della capitale del Regno Unito, bissato quattro anni più tardi a Rio. Tanto, tantissimo per un campione in grado di affrontare e battere i campionissimi, entrando a pieno diritto (assieme a Federer, Nadal e Djokovic) nel poker d'assi del tennis del Nuovo millennio: “Ho fatto tutto quello che era possibile per guarire, ma non ha funzionato”. Un'amarezza tangibile, che poi è quella di tutti.