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I 30 anni dalla morte di Gaetano Scirea, il calciatore mai espulso

Accanto ai numeri che indicano i trofei che ha vinto con divisa a strisce della Juventus e della Nazionale, spicca uno zero. È la cifra di cartellini rossi che Gaetano Scirea ha accumulato in 16 anni di carriera: nessuno. Mai espulso in oltre 500 partite. Purtroppo oltre a questa sfilza di numeri che descrivono un uomo e un calciatore umile e fantastico insieme ce n'è un altro. Trenta. Sono passati tre decenni da quel 3 settembre 1989, quando a 36 anni Scirea moriva in Polonia, diretto a Varsavia per rientrare in Italia dopo essere andato a vedere come giocava il Gornik Zabrze, prossima rivale della Juventus in coppa. È morto com'è vissuto “Gae” (questo era il suo soprannome), da persone gentile e modesta. L'allenatore di cui era vice, Dino Zoff, gli aveva detto che non c'era bisogno di andare fin laggiù, i polacchi non erano avversari da temere. Ma lui era andato lo stesso, per la sua squadra.

I colleghi

“È morto Gaetano Scirea, in un incidente stradale avvenuto in Polonia, dove si era recato per seguire la prossima avversario della sua Juventus nella Coppa”. Così Sandro Ciotti ha dato la notizia della sua scomparsa, interrompendo l'edizione serale della trasmissione Domenica sportiva. In studio c'era anche il suo ex compagno di squadra Marco Tardelli. Se ne andava così un protagonista del calcio legato a un'epoca in cui la stravaganza non era la normalità e lui incarnava alla perfezione questa normalità. Sia in campo che fuori. Ricorda Zoff, prima suo compagno di squadra in bianconero e in azzurro, poi suo allenatore: “Ricordo la notte dopo la vittoria del mondiale” – Spagna '82 – “assaporammo la gioia insieme, scambiando pochissime parole. La nostra stanza era soprannominata 'la Svizzera' perché era un'oasi di tranquillità”. Vuole la leggenda che Scirea, che in campo si muoveva a testa alta e petto in fuori, evitasse di fare fallo ai suoi avversari anche quando questo poteva aiutare sua squadra. Leale e corretto sempre con tutti i rivali. Come scrive Il Corriere della Sera, era generoso anche con quelli che aveva “in casa”. Come Franco Baresi. Il difensore del Milan era entrato nel giro della nazionale italiana già ne 1982 e avrebbe preso il posto da libero di Scirea in seguito al suo addio alla maglia azzurra, dopo il Mondiale del 1986 in Messico. “Lui sapeva che un giorno gli avrei preso il posto, ma ogni volta cercava solo di aiutarmi, di mettermi a mio agio”. Fulvio Collovati, suo altro compagno in azzurro, lo chiama il suo “angelo custode“.

La famiglia

Quando è morto, Scirea ha lasciato una moglie, Mariella, e un figlio, Riccardo. “Lo seppi dalla televisione”, racconta lui che all'epoca aveva appena 12 anni. In un'intervista al Corriere, la donna che è stata al suo fianco per 14 anni lo ricorda così: “Più che timido, era riservato. Univa la grandezza d'animo all'essere un campione. Era un uomo speciale e al tempo stesso normalissimo”. La frase più bella però la dedicò alla coppia l'amico e compagno di tante partita in bianconero e in azzurro Tardelli: “Noi potremmo vivere una vita con le nostre mogli, ma il vostro amore era unico”.

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