Ciro Esposito è morto per un colpo di pistola sparato ad altezza d’uomo che lo ha raggiunto alla schiena. Era il 3 maggio 2014. A un anno di distanza quell’ennesima tragedia non ha insegnato nulla. Il mondo del calcio continua a proporre il peggio di sé e della società italiana, aspettando un’altra vittima, una nuova tragedia. Dentro e fuori dal campo, dentro e fuori dagli spogliatoi è un susseguirsi di violenze, offese, provocazioni, aggressioni. Ormai fanno notizia solo le più gravi, quelle dove ci scappa il ferito quando non addirittura il morto. E la cronaca di quest’ultima domenica di aprile è lì a testimoniare a che livello di aberrazione siamo arrivati.
Come un esercito pronto a sorprendere il nemico, così alcune centinaia di tifosi del Torino hanno colpito il pullman della Juventus in via Filadelfia, nei pressi dello stadio Olimpico. Qualcuno ha tentato perfino di bloccare la strada, ma l’autista ha accelerato e i tifosi si sono scansati colpendolo comunque con calci, pugni, uova, sassi e bottiglie. All’arrivo l’autobus ha riportato diverse ammaccature e un vetro rotto, e sebbene per i giocatori bianconeri non ci siano state conseguenze, l’assalto al pullman è stato solo un assaggio di quanto sarebbe accaduto poco più tardi.
L’episodio più grave infatti si è verificato all’interno dello stadio con l’esplosione di una “bomba carta” durante la partita. Secondo i soccorritori del 118 ci sarebbero 10 feriti di cui due in gravi condizioni. “Nessuna clemenza verso i nemici dello sport: questi sono i teppisti che vorrebbero rovinare una passione” ha detto il ministro degli Interni, Angelino Alfano, assicurando che i responsabili di entrambi gli episodi saranno assicurati alla giustizia al più presto. “Sicuramente si è trattato di un fatto di grave violenza”, ha commentato Beppe Marotta, amministratore delegato della Juventus, “deplorevole, secondo me preventivabile, frutto anche di alcuni giornalisti che spesso usano un linguaggio contro di noi, non valutando quelli che sono invece i meriti sportivi”.
“E’ normale che poi la conseguenza della gente sia questa”, ha continuato il dirigente ai microfoni di Sky Sport. “La speranza è che non si arrivi veramente a un fatto grave di cui poi tutti noi dovremo pentircene”. Marotta ha chiarito poi l’oggetto della sua polemica: “Basta leggere un pezzo di stamattina su un autorevole quotidiano sportivo in cui veniamo tacciati di essere dei ladri”.
A quanto pare però, la violenza ha segnato anche un altro incontro, quello tra Atalanta ed Empoli (2-2). Prima un battibecco in campo, poi la rissa nel tunnel che porta agli spogliatoi dove l’attaccante argentino Denis ha sferrato un pugno a Tonelli ferendolo al volto e al naso. Sull’episodio è intervenuto anche Pierpaolo Marino, il dg dell’Atalanta: “Denis ha avuto una reazione scomposta ma Tonelli in campo e nel tunnel l’aveva minacciato di morte. Non solo lui ma anche famiglia e figli. Denis non è un pazzo – ha detto – ha giocato 225 partite in serie A. È stato provocato, ha sbagliato ma sono avvertimenti di tipo mafioso”.
Nelle ultime settimane il mondo del calcio italiano ha dovuto assistere ad altri episodi da condannare. Lo scorso 17 aprile il ritiro del Cagliari, prima della gara contro il Napoli, è stato assaltato da un gruppo di ultras rossoblu. I giocatori del club sardo sono stati spintonati, insultati e schiaffeggiati. L’accusa era quella di “non impegnarsi abbastanza” per la maglia. Un simbolo eletto a divinità dalle frange più estreme del tifo. “I calciatori sono choccati” aveva commentato Zdenek Zeman, allora ancora mister della squadra. Negli stessi giorni si faceva più duro lo scontro tra la Curva Sud della Roma e il presidente James Pallotta, colpevole secondo gli ultras, di averli definiti “fottuti idioti” dopo i vergognosi striscioni contro la madre di Ciro Esposito durante la partita con il Napoli. “Il calcio non può essere condizionato dal tribunale dei tifosi” aveva detto Fabio Capello. Un’affermazione su cui sarebbe giusto riflettere.