Doveva essere a Istanbul la prossima finale di Champions League e, almeno per ora, è lì che si giocherà. Ora però c'è una variabile non di scarsa importanza da tenere in considerazione: l'offensiva di Ankara nei confronti dei curdi siriani rimescola le carte in tavola un po' su tutti i fronti, non ultimo quello sportivo vista la tendenza dei calciatori turchi a eseguire saluti militari durante le partite di calcio, addirittura durante le qualificazioni al campionato europeo. Gesti che vengono eseguiti con riferimento alla propria patria, quindi lontani dallo sport in senso stretto ma, comunque, con quella dose di visibilità che rende il dibattito sulle azioni militari della Turchia in Siria particolarmente denso di argomenti e campi di indagine. Anche per questo il mondo dello sport italiano prova a riflettere e si pone il dubbio se sia o meno il caso di portare i finalisti della Champions a Istanbul per disputare la partita che assegnerà la coppa.
Le posizioni
Nello specifico, è il titolare allo Sport, Vincenzo Spadafora, a inoltrare all'Uefa (al presidente Alexander Ceferin per la precisione) una lettera che insinua il tarlo del dubbio, chiedendo se alla luce “dei gravissimi atti contro la popolazione civile curda e dell'intervento con il quale l'unione europea condanna l'azione militare della Turchia”, se “sia inopportuno mantenere ad Istanbul la finale di Champions League il 30 maggio 2020”. Solo una supposizione al momento, perché sul tema si era in realtà già espresso il vicepresidente dell'Uefa, un italiano come Michele Uva: “E' ovvio che tutte le cose vanno viste e discusse dentro l'Esecutivo, revocare una finale è un atto forte e penso che adesso non siamo nelle condizioni di poterne parlare e discutere – ha detto parlando a 'Radio Anch'io Sport' su RadioUno -. Col Comitato esecutivo e il presidente Ceferin valuteremo insieme le situazioni ma mi sembra prematuro parlare di sanzioni a questo livello“. Il punto è che, anche a proposito dei saluti militari, secondo Uva “c'è una separazione netta fra gli aspetti politici e quelli sportivi, il calcio non può fare finta di nulla rispetto a quello che sta succedendo. Federazioni, giocatori e allenatori sono sottoposti a regole precise e una violazione di queste regole comporta delle indagini suppletive ed eventualmente delle sanzioni. Lo sport, e soprattutto il calcio che ha una esposizione mediatica mondiale, non può permettersi segni distintivi di natura politica. Certi gesti sono assolutamente da biasimare”. Ma da qui a togliere la finalissima a Istanbul sembra che ancora ce ne voglia.