Catanese di nascita ma fu stella delle squadre del Nord Pietro Anastasi, il nove che non era un nove, bomber senza essere grosso come un bomber, uno dei primi centravanti a interpretare il ruolo in chiave moderna, diventando il simbolo della Juventus degli anni 70. E' morto a 71 anni Anastasi, al termine di una lunga lotta contro la malattia, lasciando in eredità 8 anni in bianconero, 105 reti in Serie A e un Campionato europeo vinto da protagonista nel 1968, con tanto di rete in finale contro la Jugoslavia. Le stagioni a Torino saranno il punto più alto di una carriera iniziata fra i dilettanti della Massiminiana e balzata in un lampo alla Serie B (e subito dopo alla A) con la maglia del Varese, dove in un paio di stagioni riuscì a guadagnarsi a suon di reti le attenzioni della Juventus, che lo strappò all'Inter grazie a un'abile mossa di mercato di Gianni Agnelli e iniziò con lui una fase di ricostruzione dopo i fasti di inizio anni 60.
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Gli anni d'oro
Dal 1968 al 1976, otto stagioni fatte di reti e di affetto reciproco con società e tifosi, soprattutto i ragazzi del Meridione che lavoravano a Torino e che in lui vedevano un simbolo, un rappresentante del Sud del dopo-boom economico che viveva e lavorava nelle fabbriche del Nord. Con la Juve il vincolo fu forte, sempre, tranne che nella parte finale della sua esperienza torinese, quando i rapporti si raffreddarono e la società lo inserì in uno scambio di mercato con l'Inter che portò a Roberto Boninsegna a Villar Perosa. Un passaggio che fece scalpore nelle testate di sport dell'epoca, più o meno quanto il suo acquisto dal Varese per 650 milioni di lire, cifra ragguardevole alla fine degli anni Sessanta. A Milano giocò un paio di stagioni, senza ripetere le prestazioni fatte in bianconero ma alzando la sua terza Coppa Italia (37 gol in tutto in questa competizione), prima di chiudere la carriera fra Ascoli e Lugano. Attaccante atipico, ebbe come idolo John Charles ma forse ricordava più Omar Sivori, per stazza e imprevedibilità. Meno tecnica del “cabezon” ma certamente un'esplosività e una mobilità che in molti gli riconobbero come doti fondamentali, in grado di sopperire a qualche imperfezione. D'altronde l'obiettivo di un attaccante è sempre stato quello di segnare. Come e perché non importa poi così tanto.