Sante Perpetua e Felicita, Cartagine (Tunisia),7-Cartagine, 7/03/203. Perpetua e Felicita sono due giovani donne africane martirizzate a Cartagine insieme ad altri cristiani. Tibia Perpetua, di 22 anni, è sposata e madre di un bambino ancora lattante; Felicita, figlia dei suoi servi, è in gravidanza avanzata.
Le due donne ricevono il Battesimo mentre sono agli arresti domiciliari; in seguito vengono incarcerate. Perpetua riceve la visita del vecchio padre pagano, disperato per la sorte dell’amata figlia e quando lui le chiede di apostatare per salvarsi, Perpetua gli risponde con coraggio: “Sono cristiana e non posso chiamarmi con un nome diverso”.
Felicita, tre giorni prima del martirio, partorisce una bambina. Durante il travaglio del parto, un carceriere le dice: “Se partorire soffri così tanto cosa farai quando sarai sbranata dalle fiere?”; lei prontamente risponde: “Ora sono io che soffro, ma nel circo sarà un altro a soffrire per me dentro di perché anch’io soffro per lui”. Il motivo del loro coraggio e perfino della loro fierezza è la convinzione assoluta che il Cristo viva e soffra in loro e con loro.
Morte
La storia del loro martirio, che commuove per il grande coraggio, è scritta in parte da loro e in parte da un testimone del tempo (probabilmente Tertulliano). L’imperatore Settimio Severo, per festeggiare il compleanno del figlio, organizza nell’arena di Cartagine uno spettacolo in cui alcuni cristiani vengono sbranati dalle belve feroci. Perpetua e Felicita, liete in volto perché convinte di andare in Paradiso, avanzano serenamente nell’anfiteatro per essere dilaniate dalle fiere. Gridano al procuratore Ilariano che presiede l’esecuzione: «Tu giudichi noi, ma Dio giudicherà te!».
Vengono entrambe sospese in una rete, poi martoriate dalle corna appuntite di una giovenca imbizzarrita e infine uccise con una pugnalata alla gola. Il loro martirio riporta l’unità nella Chiesa cartaginese, in quel momento divisa da contrasti interni. La loro popolarità si diffonde rapidamente e i loro nomi sono nel Canone Romano.
Tratto dal libro “I santi del giorno ci insegnano a vivere e a morire” di Luigi Luzi