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Ecco chi era San Ferdinando III, re di Castiglia

San Ferdinando III Re di Castiglia, nasce a Salamanca nel 1199, muore a Siviglia nel 1252.

La vita

Perde il padre Alfonso IX in giovane età, viene educato cristianamente dalla madre. A soli 19 anni viene incoronato re di Castiglia e a 31 anni re di Leon. Fondendo i due regni, dà inizio ad una prima unificazione dello stato spagnolo. Ottiene grandi risultati nelle guerre contro i saraceni che occupano gran parte della Spagna, tanto da essere nominato: “Terrore dei Mori”.

Ai prigionieri saraceni fa riportare a spalla la campana da questi sottratta al santuario di Compostella. Dotto e colto, protegge la scienza, l’arte e la cultura in genere. Fonda l’Università di Salamanca e la cattedrale di Burgos e di Toledo.

E’ intransigente con gli eretici, tollerante con gli ebrei, sottomesso all’autorità della Chiesa. Apre le porte del suo regno ai francescani e ai domenicani e dona chiese e conventi per le loro comunità. Generoso con i nemici sconfitti: non vuole stragi e lascia liberi i prigionieri. 

Si circonda di dodici saggi che interpella costantemente per governare con giustizia i suoi sudditi. Emana leggi sagge e giuste. Nel governare cerca di proteggere le fasce più deboli della popolazione. Dice che teme di più la maledizione di una povera vecchia che l’intero esercito dei mori.

Avvenimenti e aneddoti

Durante le battaglie porta sempre appesa alla sella del suo cavallo una statuetta della Madonna.

Spiritualità

E’ puro di costumi e devotissimo alla Madonna che rappresenta il cardine fondamentale della sua santità. Ma anche umile e severo insieme. Teme di commettere anche la più piccola ingiustizia e di poter offendere anche il più povero dei suoi sudditi. Definisce sé stesso “Servo di Maria e alfiere dell’Apostolo di San Giacomo”.

Morte

Dopo trentacinque anni di regno, retto con saggezza e santità, sentendo vicina la morte vuole ricevere gli Ultimi Sacramenti alla presenza di tutta la corte, per testimoniare la sua grande fede. Chiede pubblicamente perdono a tutti. Offre la sua vita in sconto dei suoi peccati e per il bene dei suoi amati sudditi.

Al figlio Alfonso suo erede dice: “Temi Iddio e tienilo sempre testimone in ogni azione pubblica o privata”. Vuole ricevere il S. Viatico in ginocchio, poi dice: “O Signore, ricevi la mia anima nello stuolo dei tuoi servi”.

Sono le sue ultime parole. I suoi soldati lo piangono come coraggioso condottiero, il popolo come padre, eroe, ma soprattutto come santo. Alla sua morte viene subito proclamato santo dal popolo, ma la Chiesa lo canonizza quattro secoli dopo: il 4 febbraio 1671 ad opera di Clemente X.

Tratto dal libro “I santi ci aiutano a vivere e a morire” di Luigi Luzi

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