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San Domenico Guzman: “tenero come una mamma, forte come un diamante”

Egli accoglieva ogni uomo nel grande seno della carità e, poiché amava tutti, tutti lo amavano. Si era fatto una legge personale di rallegrarsi con le persone felici e di piangere con coloro che piangevano”. Così il beato Giordano di Sassonia tratteggia la figura questo Santo, nato nel 1170 a Caleruega (Spagna). Le biografie raccontano che Domenico di Guzman da adolescente subisce il fascino della Parola di Dio grazie allo zio prete. Studia dialettica, filosofia, teologia e mostra anche la sua grande generosità durante una carestia, vendendo ciò che ha – e in particolare delle preziose pergamene – per realizzare un fondo per i poveri. “Come posso studiare su pelli morte – afferma – mentre tanti miei fratelli muoiono di fame?”.

A 24 anni entra nel capitolo dei Canonici Regolari della cattedrale di Osma vivendo profondamente immerso nella preghiera, nel ministero, e nella vita comune. La beata Cecilia Cesarini, sua contemporanea racconta: “Era di media statura ed esile di corpo; aveva un bel viso e la carnagione rosea; i capelli e la barba tendevano al rosso; gli occhi erano belli. Dalla sua fronte e di tra le ciglia, irradiava come uno splendore che a tutti ispirava rispetto e simpatia. Rimaneva sempre sereno e sorridente, tranne quando era addolorato per qualche angustia del prossimo. Aveva lunghe e belle mani e una voce forte e armoniosa. Non fu mai calvo, ma aveva la corona della rasura tutta intera, cosparsa di qualche capello bianco”.

Il vescovo Diego lo incarica di compiere, insieme a lui, un delicato compito diplomatico in Danimarca. Durante il viaggio assistono al dilagare dell’eresia dei catari, convinti che Gesù sia uomo ma non Dio. Dinanzi a tale scenario i due si convincono che la loro missione non può che essere la predicazione ai pagani. Prima di rientrare in Spagna si recano a Roma per chiedere al Papa di dedicarsi all’evangelizzazione di quei popoli. Con la conferma di Innocenzo III si dirigono nella Francia meridionale per contrastare l’eresia albigese.

Diego muore e Domenico resta da solo cercando di riportare alle fede gli eretici con passione e incontrando, esortando, dibattendo in pubblico e in privato. La coerenza tra ciò che dice e ciò che fa suscitano rispetto e simpatia riducendo le distanze dagli avversari. “Domenico – narrano i testimoni – si dimostrava dappertutto uomo secondo il Vangelo, nelle parole e nelle opere. Durante il giorno, nessuno era più socievole, nessuno più affabile con i fratelli e con gli altri. Di notte, nessuno era più assiduo e più impegnato nel vegliare e nel pregare. Era assai parco di parole e, se apriva bocca, era o per parlare con Dio nella preghiera o per parlare di Dio nella predicazione. Questa era la sua norma che seguiva e raccomandava agli altri”.

A Tolosa alcuni amici si stringono intorno al Santo condividendo con lui lo zelo della predicazione per la salvezza dei fratelli. È il primo nucleo che darà alla predicazione di Domenico una forma stabile. Nel 1205 si reca a Roma con Folco, il vescovo di Tolosa per presentare a Papa Onorio III il progetto che darà alla luce l’Ordine dei frati predicatori. Rapidamente i “domenicani” si diffondono ovunque portando il Vangelo fino agli estremi confini del mondo. Domenico riunisce e presiede nel 1220 e nel 1221, a Bologna, i primi capitoli dei suoi frati mettendo le basi effettive del nuovo Ordine. Infine, stanco delle sue fatiche apostoliche, muore il 6 agosto 1221 circondato dall’affetto e dalla preghiera dei confratelli ai quali affida il suo testamento spirituale: carità, umiltà e povertà volontaria. Appena 13 anni più tardi, Gregorio IX, che lo aveva conosciuto personalmente, lo proclama Santo. Il confratello Lacordaire lo descrive con queste parole: “Tenero come una mamma, forte come un diamante”.

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