San Pietro Favre, l’importanza di “lasciare che Cristo si occupi del tuo cuore”

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Uomo modesto, sensibile, di profonda vita interiore. Uomo del dialogo, dell’ascolto, della vicinanza. Sono alcuni dei doni di Dio che vengono attribuiti a questo Santo, nato nel 1506 nel villaggio di Villaret nell’Alta Savoia (Francia) da una famiglia dedita alla pastorizia. Pietro Favre trascorre l’adolescenza nel luogo natio col desiderio di dedicarsi agli studi. “Piangevo affinché mi concedessero di andare a scuola”, scriverà in seguito nel suo diario spirituale. Grazie all’ausilio di uno zio sacerdote all’età di 19 anni corona il suo sogno andando alla Sorbona di Parigi e laureandosi in filosofia.

Nella capitale della Francia conosce San Francesco Saverio e Sant’Ignazio di Loyola che diventa la sua guida spirituale. Nel 1534 diventa il primo sacerdote gesuita e, col fondatore della Compagnia e altri cinque compagni, emette il celebre voto di Montmartre, ossia vivere in povertà e andare a Gerusalemme, promettendo di mettersi a disposizione del Papa. La guerra tra turchi e veneziani impedisce tale pellegrinaggio, e allora quel primo nucleo del futuro Ordine si reca da Paolo III. Gli incarichi che il Papa gli affida sono diversi. Per San Pietro Favre quando si propongono cose difficili si manifesta il vero spirito che muove all’azione. Una fede autentica, infatti, implica sempre un profondo desiderio – da offrire a Dio – di cambiare il mondo. Papa Francesco ne ha sottolineato “la pietà semplice, una certa ingenuità forse, la disponibilità immediata, il suo attento discernimento interiore, il fatto di essere uomo di grandi e forti decisioni e insieme capace di essere così dolce, dolce”.

Favre si reca in Francia, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Germania, dove partecipa alle diete di Worms e Ratisbona come inviato del Pontefice. È docente per due anni alla “Sapienza” di Roma, insegna catechismo nelle campagne parmensi, in Germania si adopera per creare un ponte di dialogo tra Chiesa e il protestantesimo di Lutero. In tutti i suoi incarichi, dai più umili a quelli più elevati, spicca la sua cultura, la sua sensibilità umana e la sua profonda vita interiore. In tante occasione ripete l’importanza, per ogni cristiano, di “lasciare che Cristo occupi il centro del cuore”.

San Pietro Favre è un uomo dinamico ai limiti dell’irrequietezza, sublimata dal contatto col Vangelo che convoglia questo capitale di energia nella fibra missionaria che lo pervade. San Pietro Canisio, l’apostolo della Germania, nella sua autobiografia così scriverà di lui: “Non ho mai visto o sentito un teologo più colto e più profondo, o un uomo di tale e impressionante ed eccezionale santità… Ogni sua parola, sia nella conversazione sia negli incontri amichevoli, anche mentre si è a tavola, è ispirata al rispetto di Dio e alla pietà ed egli non diventa mai tedioso o noioso per i suoi ascoltatori… numerosi sacerdoti ed ecclesiastici di ogni condizione hanno rinunciato al disordine, o hanno lasciato il mondo o si sono convertiti da gravi deviazioni, grazie alle sue esortazioni e al suo aiuto”.

Redige in spagnolo e latino il suo “Memoriale”, una sorta di diario spirituale che, assieme al suo epistolario, mostra la sua fede e il suo stile di vita genuinamente cristiano. Il primo movimento del cuore – sostiene Pietro Favre – deve essere quello di “desiderare ciò che è essenziale e originario, cioè che il primo posto sia lasciato alla sollecitudine perfetta di trovare Dio nostro Signore”. Torna a Roma nel 1546 per quello che sarà il suo ultimo grande incarico: partecipare al Concilio di Trento.

Favre, però, si ammala e muore il primo agosto 1546, a soli 40 anni. Per la sua canonizzazione viene utilizzata la prassi cosiddetta “equipollente”, già impiegata nei riguardi di figure di particolare rilevanza ecclesiale per le quali è attestato un culto liturgico antico esteso e con ininterrotta fama di santità e di prodigi. Papa Francesco, primo Pontefice gesuita nella storia della Chiesa, in data 17 dicembre 2013 lo ha innalzato all’onore degli altari. “I suoi modi amabili e cortesi – ha affermato un contemporaneo del Santo – gli procuravano la benevolenza e il consenso di tutti e guadagnavano quanti lo incontravano all’amore di Dio. Quando parlava delle cose divine pareva che avesse sulla lingua le chiavi dei cuori degli uomini, tanto riusciva a commuoverli e ad attirarli”.

Macario Tinti: