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Oggi la Chiesa festeggia 'l'angelo dei bimbi'

Oggi la Chiesa festeggia il Beato Carlo Gnocchi. In occasione del decimo anniversario della beatificazione del “padre dei mutilatini” e nella giornata della sua memoria liturgica, l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, visita il Centro Irccs “Santa Maria Nascente” per poi presiedere alle 10.30 (nel santuario diocesano dove riposano le spoglie del beato don Gnocchi) una solenne celebrazione alla presenza di responsabili, operatori, volontari, disabili, anziani fragili, pazienti e familiari dei Centri lombardi della Fondazione La funzione sarà concelebrata da don Vincenzo Barbante, presidente della Fondazione Don Gnocchi, da monsignor Angelo Bazzari, presidente onorario e don Maurizio Rivolta, rettore del santuario. L'appuntamento del 25 ottobre (giorno di nascita e di beatificazione di don Gnocchi) sarà vissuto con iniziative e commemorazioni in tutti i centri italiani della Fondazione. In occasione dei dieci anni dalla beatificazione di don Gnocchi, la Fondazione si appresta inoltre a incontrare Papa Francesco: oltre 5 mila pellegrini, tra i quali molti pazienti e loro familiari, abbracceranno il Pontefice il 31 ottobre in Vaticano. 

Una vita per gli ultimi

Carlo Gnocchi nasce a San Colombano al Lambro, vicino Lodi, il 25 ottobre 1902. Sacerdote ed educatore, allo scoppiare della seconda guerra mondiale si arruola come cappellano volontario tra gli alpini, con i quali vive la tragica ritirata di Russia. Salvatosi per miracolo, accoglie al rientro gli orfani di guerra e bambini straziati dalle bombe realizzando quell'opera che gli fece guadagnare sul campo il titolo di padre dei mutilatini”. Scrive don Gnocchi: “Ho sempre cercato le vestigia di Cristo sulla terra con avida, insistente speranza. E mi è parso di veder balenare il suo sguardo negli occhi casti e ridenti dei bimbi, trasparire opaco nel pallido e stanco sorriso dei vecchi e mi è sembrato più volte che la sua ombra leggera mi avesse sfiorato nel crepuscolo fatale dei morenti”. Sul confine della vita don Carlo Gnocchi scelse di starci nella ritirata di Russia, quando rischiò di morire e diede l'estremo saluto a centinaia di alpini. In Italia iniziò nel 1946 a dedicarsi agli orfani di guerra, ai «mutilatini», ai “mulattini” (i figli delle violenze sessuali in tempo di guerra). E, infine, ai poliomielitici. Morì di tumore il 28 febbraio 1956.  

La beatificazione

Nel giorno in cui nasceva 107 anni fa a San Colombano al Lambro, il prete lombardo che l'Italia del dopoguerra chiamò “l'angelo dei bimbi” fu proclamato  beato esattamente dieci anni fa alle 10 del mattino, sul sagrato del Duomo. La liturgia fu presieduta dall'arcivescovo Dionigi Tettamanzi, e concelebrata dal cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i vescovi, e dal legato pontificio, l'arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Erano nella piazza Duomo transennata 40mila persone, ma l'ondata di affetto per don Gnocchi ne portarono nel capoluogo ambrosiano molte di più. A mezzogiorno ci fu il collegamento con piazza San Pietro per l'Angelus del Papa. Naturalmente in prima fila la Fondazione da lui creata nel 1952 con il nome di Pro Juventute e, dopo la sua morte, a lui dedicata. “La lasciò con otto centri, oggi è un colosso del non profit europeo con 28 centri in nove regioni italiane e oltre cinquemila tra dipendenti e collaboratori, 3.700 posti letto e 10mila visite quotidiane”, ricorda Avvenire. Dedita alla riabilitazione, sulla linea del fondatore, oggi ha allargato l'orizzonte.

Il senso di una missione

“Siamo sempre sul confine – spiegò quello storico giorno di 10 anni fa al quotidiano dei vescovi il presidente, monsignor Angelo Bazzari-. Lui stava con chi esordiva nella vita con il dolore. Oltre ai disabili, nei nostri centri accogliamo i malati di Parkinson, di Alzheimer, di Sla e sclerosi multipla, gli oncologici terminali e gli stati vegetativi. Credo che anche don Carlo avrebbe scelto così. Siamo diventati ong nel 2000 e operiamo in Africa, Asia e America Latina. Puntiamo molto sulla ricerca scientifica e la formazione, collaborando con 27 università nazionali e tre straniere”. Altre realtà protagoniste accanto al prete che il popolo vide protagonista della ricostruzione morale del paese, i Fratelli delle Scuole cristiane, che gli furono accanto nella sua opera di imprenditore della carità, l'Aido perché fu il primo donatore d'organi e, naturalmente i “suoi” alpini. Che da sempre lo venerano e si tramandano la sua lezione di carità. Lo hanno scortato in ogni momento della beatificazione intonando “Stelutis alpinis” quando dalla facciata del Duomo scese lo striscione della proclamazione a beato. “Don Gnocchi è sempre fra noi- affermò Corrado Perona, presidente nazionale dell'Associazione alpini-. In Russia è stato un grande esempio come cappellano militare. Ha ascoltato tante storie, soprattutto di chi non ce l'ha fatta, portando testimonianze importanti in Italia. È andato casa per casa a trovare tutte le famiglie dei caduti. E ha cominciato a occuparsi dell'infanzia sofferente”.

Il protettore degli alpini

Per le penne nere era già “sugli altari”. Lo confermò Giovanni Battista Montini, quando era arcivescovo di Milano e parlando agli alpini disse: “Eroi eravate tutti; ma lui, per giunta, era santo”. Il percorso della beatificazione è cominciato ufficialmente 33 anni fa in diocesi. Un lungo lavoro, “cinque anni a Milano e 17 a Roma”, dichiarò ad Avvenire il 25 ottobre 2009 il sacerdote Ennio Apeciti, responsabile diocesano dell'Ufficio per le cause dei santi. “A Milano sono stati ascoltati 150 testimoni e raccolte 12 mila pagine di documenti, poi studiate a Roma. Il momento più importante è stato quello del miracolo di Sperandio Aldeni”. Educatore straordinario, credeva nella ricerca e nella scienza al servizio della carità e della persona. Anche in punto di morte don Gnocchi volle dare qualcosa agli altri. Chiese infatti di donare le cornee a due ragazzi, Silvio Colagrande che aveva perso la vista ad un occhio per uno schizzo di calce e Amabile Battistello, cieca da un occhio. Fu il primo caso in Italia e aprì la strada ai trapianti. Il giorno della beatificazione il corpo di don Gnocchi fu trasportato in processione nella chiesa di San Sigismondo, presso Sant’Ambrogio, visitabile dai fedeli per tre giorni in attesa di tornare in via Capecelatro, ed essere conservato nel Centro della Fondazione nata dalla sua “baracca”.

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