“State buoni, se potete”, “scrupoli e malinconia, fuori di casa mia”, “l’uomo che non prega è un animale senza parola”. Sono solo alcuni degli aforismi con i quali Filippo Neri, chiamato “il santo della gioia” o “il giullare di Dio”, era solito accompagnare i suoi insegnamenti. Ricordato anche per l’itinerario chiamato “il giro delle sette chiese”, ossia il pellegrinaggio a piedi per i principali edifici sacri di Roma, è un santo popolare, fonte d’ispirazione per molti cristiani e non solo. Alla sua vita sono dedicati il film “State buoni se potete”, con Johnny Dorelli e la colonna sonora di Angelo Branduardi, e la fiction televisiva “Preferisco il Paradiso” interpretata da Gigi Proietti.
Filippo Romolo Neri nasce a Firenze nel 1515 ed è il secondogenito di un notaio e di una donna di umili origini proveniente dal contado. Rimasto orfano della madre in tenera età viene cresciuto dalla nuova sposa del padre e formato a livello spirituale nel convento dei Domenicani di San Marco. Il suo carattere gioviale, allegro e rispettoso gli vale l’appellativo di “Pippo buono” suscitando affetto e ammirazione tra tutti i conoscenti. Dopo una breve fase nella città di Cassino come commerciante, nel 1534 si reca a Roma senza un piano preciso, ma col fermo proposito di coltivare e approfondire il suo percorso cristiano. Nella città eterna è un viso simpatico, un cuore lieto che porta a chi incontra il calore di Dio, un po’ di cibo ai poveri o un sostegno agli infermi dell’Ospedale degli Incurabili.
Per un periodo si adopera come precettore dei figli di un notabile del tempo, studia filosofia e teologia, ma soprattutto si dedica alla vita contemplativa, intessendo un dialogo intimo e costante con Dio. Filippo, essendo laico, predilige le chiese solitarie, i luoghi sacri delle catacombe, memoria dei primi tempi della Chiesa apostolica, i sagrati durante le notti silenziose. Nelle invocazioni si rivolge affettuosamente alla Madonna con l’invocazione “Vergine Madre, Madre Vergine”, convinto che questi due titoli dicono l’essenziale di Maria. Proverbiale, inoltre, è il suo “intensissimo affetto al Santissimo Sacramento dell’Eucaristia, senza del quale non poteva vivere”, come dichiarerà un teste al processo di canonizzazione.
La sua costante preghiera produce effetti prodigiosi come quello avvenuto nella Pentecoste del 1544 quando, nelle catacombe di san Sebastiano, riceve in forma sensibile il dono dello Spirito Santo che gli dilata il cuore infiammandolo di un fuoco che arderà nel petto del santo fino al termine dei suoi giorni. Filippo Neri è altrettanto fervente nell’attività di apostolato verso chiunque incontra nelle piazze e per le vie di Roma e si spende anche presso alcune confraternite. Sa unire azione e contemplazione, come Maria e Marta. Infatti, in un altro periodo della sua esistenza, dirà ai confratelli: “È meglio obbedire al sagrestano e al portinaio quando chiamano, che starsene in camera a fare orazione”.
“Si accostava alla spicciolata ora a questo, ora a quello e tutti divenivano presto suoi amici”, racconta il suo biografo. Secondo Papa Francesco è un “appassionato annunciatore della Parola di Dio”, un “cesellatore di anime”, il cui agire è “caratterizzato dalla fiducia nelle persone, dal rifuggire dai toni foschi ed accigliati, dallo spirito di festosità e di gioia, dalla convinzione che la grazia non sopprime la natura ma la sana, la irrobustisce e la perfeziona… Amava la spontaneità, rifuggiva dall’artificio, sceglieva i mezzi più divertenti per educare alle virtù cristiane, al tempo stesso proponeva una sana disciplina che implica l’esercizio della volontà per accogliere Cristo nel concreto della propria vita”.
Si sente indegno di diventare sacerdote, ma, obbediente all’invito del padre spirituale, fa discernimento se sia questa la sua vocazione. Così matura lentamente la chiamata alla vita presbiterale e l’ordinazione giunge nel 1551, all’età di 36 anni.
Va ad abitare nella Casa di san Girolamo, sede della Confraternita della Carità, che ospitava a pigione un certo numero di sacerdoti secolari. Qui il suo principale ministero diviene l’esercizio del confessionale; è proprio con i suoi penitenti che Filippo inizia, nella semplicità della sua piccola camera, quegli incontri di meditazione, dialogo spirituale e preghiera che costituiscono l’anima e il metodo dell’Oratorio. Col tempo, quindi, attorno a lui prende corpo la cellula della futura Congregazione che nel 1575 riceverà il placet di Gregorio XIII. Si tratta di una comunità di preti che nell’Oratorio hanno non solo il centro della spiritualità, ma anche il più fecondo campo di apostolato. “Figliuoli, siate umili, state bassi”, ripete ai suoi padre Filippo, ricordando che per essere figli di Dio “non basta solamente onorare i superiori, ma ancora si devono onorare gli eguali e gli inferiori, e cercare di essere il primo ad onorare”. Conosce, stringe amicizia e diviene direttore spirituale di un altro grande testimone della fede, San Camillo De Lellis.
Su indicazione del Pontefice si trasferisce nella chiesa di San Maria in Vallicella, dove trascorre i suoi ultimi dodici anni incontrando le più svariate tipologie di persone, nell’intento di condurre al Signore ogni anima, nella letizia che sgorga dalla mirabile unione col Creatore. Si spegne nelle prime ore del 26 maggio 1595, all’età di ottant’anni. Riecheggiano ancora le parole di quello che verrà chiamato l’apostolo di Roma: “Non è tempo di dormire, perché il Paradiso non è fatto pei poltroni”. Giovanni Paolo II, a 400 anni dalla morte, ne ricorda l’attualità: “Il cosiddetto ‘quadrilatero’ – umiltà, carità, preghiera e gioia – resta sempre una base solidissima su cui poggiare l’edificio interiore della propria vita spirituale”.