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La Chiesa del Venerdì Santo: silenziosa e penitente partecipa al dramma di Dio che muore per amore

L'omelia di Mons. Francesco Massara nella celebrazione del Venerdì Santo

Cari fratelli e sorelle,

tradizionalmente la Chiesa, nel giorno del venerdì santo, dismette le solenni vesti liturgiche e si fa silenziosa e penitente per partecipare al dramma di un Dio che muore in croce per amore.

Oggi è un giorno difficile ed è un giorno di grazia perché contempliamo Cristo in croce. Mi direte: com’è possibile che Cristo sulla croce sia allo stesso tempo la cosa più difficile, ma anche la grazia di questo giorno?

È difficile contemplare Cristo in croce perché è difficile affrontare il proprio dolore e quello degli altri. Possiamo confrontarci con il dolore di una malattia (mai come in quest’anno di pandemia ne abbiamo sperimentato la forza e il cinismo), ma possiamo imbatterci anche nel dolore per la separazione da una persona cara, nel dolore della solitudine, del fallimento, di una crisi personale e familiare. C’è anche il dolore di chi soffre una grande ingiustizia, il dolore dei poveri, dei migranti, dei perseguitati per la propria fede e di tutti quanti soffrono la violenza della guerra, dell’inimicizia tra i popoli, delle disuguaglianze sociali.

Tutto questo dolore è difficile da contemplare. A volte preferiamo non vederlo negandolo. Ma ciò non è possibile perché lo ritroviamo nei giornali, nei social, in tv. Ogni giorno, questa triste realtà bussa alla nostra porta e chiede una risposta che, spesso, preferiamo non cercare perdendo la possibilità di vedere quello che l’amore di Dio realizza nella nostra vita.

Ancora più difficile è riconoscere il mio ruolo nel dolore degli altri, la mia responsabilità per il dolore del mondo. Anch’io, anche noi possiamo causare dolore agli altri con la nostra indifferenza e insensibilità, con la nostra violenza verbale o fisica, oppure facendo finta di non vedere ed evitando di aiutare chi si trova in difficoltà.

Il venerdì santo è anche un giorno di grazia: infatti, la croce di Gesù è un segno paradossale perché da una parte mostra tutta la crudeltà del dolore innocente e, dall’altra rivela tutto il senso di questo dolore attraverso l’Amore donato totalmente per noi.

Tutta la vita di Gesù è un prodigarsi di amore per noi ed è questa la grazia nascosta in questo giorno: Cristo non gode della nostra sofferenza e, dalla croce, intende gridarci la forza rivoluzionaria dell’amore ricordandoci che il cristiano non teme la morte, ma teme piuttosto lo squallore di una vita priva di senso, colma soltanto di cose.

A Gesù crocifisso viene rivolta una sfida: «Se sei Figlio di Dio, scendi dalla croce e ti crederemo». Gesù da quella croce non è sceso e noi gli crediamo proprio perché ha scelto di non stupirci scendendo dalla croce. Gli crediamo perché è rimasto lì come tanti uomini e donne che non possono lasciare la loro croce di sofferenza. Non è venuto per darci una risposta al perché del dolore, ma per insegnarci come viverlo, senza tentare fughe, dispense o esoneri, ma con l’impegno di deporre tutto nelle mani di Dio. Il dolore in sè stesso non ha senso, si sperimenta come qualcosa che non dev’essere; allo stesso tempo, con uno sguardo di fede, esso può acquisire un significato se ci trasforma in persone capaci di generare atti di misericordia, condivisione, empatia e tenerezza.

Contemplare Cristo sulla croce è un invito alla fede, a credere che l’amore è più forte della morte, che l’amore vissuto, condiviso e donato gratuitamente ha una forza che supera il dolore, la sofferenza e l’ingiustizia, soprattutto quando si traduce in solidarietà con i più deboli e in aiuto reale a chi è nel bisogno.

Insomma quando l’amore ci fa sentire fratelli e sorelle e crediamo che ogni persona, qualunque sia la sua condizione di vita, è degna di rispetto e di accoglienza, lì la croce di Cristo diventa occasione ed evento di grazia. Sia lodato Gesù Cristo!

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