“La preghiera è la chiave delle grazie: essa apre i tesori del Signore”, era solita ripetere la Beata Anna Rosa Gattorno, sposa e madre, vedova, e poi religiosa-Fondatrice. Venuta al mondo a Genova nel 1831 da una famiglia più che benestante e di profonda fede cristiana, vive una serena fanciullezza. Riceve l’istruzione in casa, come avviene in quel periodo alle persone che hanno alle spalle solide sostanze. Si sposa a 21 anni e si sposta a Marsiglia dove però incontra gravi problemi finanziari. Allora è costretta a tornare, insieme al marito, nella sua città natale. Lì giungono per Anna nuove pesanti prove, a iniziare dalla malattia della primogenita Carlotta che, a seguito di una seria patologia, diviene sordomuta. Il suo sposo, dopo aver lavorato per un periodo all’estero, si ammala gravemente e sale al Creatore. A sei anni dal matrimonio, resta così vedova con tre figli da accudire, uno dei quali, poco tempo dopo muore.
Queste vicissitudini, come lei stessa spiegherà, modificano completamente la sua esistenza e al contempo cambiano la sua sensibilità e il suo cuore, generando un’autentica conversione. Rosa Gattorno gradualmente prende coscienza del suo desiderio profondo di dedicarsi completamente al Signore e alla carità nei confronti dei bisognosi. Seguita nella direzione spirituale da don Giuseppe Firpo emette i voti privati perpetui di castità, obbedienza e povertà nello spirito di San Francesco d’Assisi. Attinge quotidianamente e con immensa partecipazione all’Eucaristia, fonte di grande intimità con Dio che le fornisce vigore ed entusiasmo nella disponibilità e nel servizio verso gli altri. “Mi dedicai – scrive in particolare a questo proposito – con più fervore alle opere pie e a frequentare gli ospedali e i poveri infermi a domicilio, soccorrendoli con sovvenirli quanto potevo e servirli in tutto”. A fronte di questa stretta unione con i fratelli e Gesù riceve anche il dono delle stimmate. Le sue doti caritatevoli diventano ben presto visibili e note a tutti i concittadini e alle realtà ecclesiali diocesane.
Per questo motivo il vescovo le affida la presidenza della “Pia Unione delle Nuove Orsoline Figlie di S. Maria Immacolata”, fondata da Frassinetti, e anche la revisione delle Regole destinate all’Unione. Matura, inoltre, l’ispirazione di creare una sua nuova Regola e Fondazione. Per la futura Beata questo è un periodo di discernimento e di intenso combattimento per l’impulso a seguire la sua nuova vocazione che inizialmente sembra contrastare con gli impegni di amorevole madre. Chiede consiglio addirittura allo stesso Pio IX che conferma il suo cammino assecondando i disegni della divina Provvidenza e incoraggiandola a dedicarsi completamente a Dio e alle anime. Le parole del Papa pongono fine a ogni dubbio e tentennamento: “Questo Istituto si estenderà rapidamente come il volo della colomba in tutte le parti del mondo. Iddio penserà ai tuoi figli; tu pensa a Dio nell’Opera sua”. All’invito del Pontefice Anna Rosa risponde senza esitazioni: “Sì, Santo Padre, voglio fare la volontà di Dio”. E così nel 1866 fonda a Piacenza la sua nuova famiglia religiosa chiamata “Figlie di Sant’Anna, madre di Maria Immacolata” e quattro anni dopo emette la professione religiosa con dodici consorelle.
L’obiettivo è di occuparsi – con dedizione materna, attenta e sollecita – di ogni forma di sofferenza e miseria morale o materiale, con l’unico intento di servire Gesù nelle sue membra doloranti e ferite, e di “evangelizzare innanzitutto con la vita”. Grazie a lei nascono una serie di realtà destinate al soccorso di “ultimi”, ammalati, anziani, persone abbandonate e giovani “a rischio” cui provvede a far impartire un’istruzione adeguata e al successivo inserimento nel mondo del lavoro. Allo stesso modo vengono alla luce asili, scuole popolari e altre opere di promozione umano-evangelica. Alle sue figlie Anna Rosa ricorda sempre di essere “serve dei poveri e ministre di misericordia” raccomandando loro: “Siate umili, pensate che siete le ultime e le più miserabili di tutte le creature che prestano alla Chiesa il loro servizio… e hanno la grazia di farne parte”.
Non mancheranno prove, umiliazioni, difficoltà e tribolazioni di ogni genere. Ma le iniziative della Beata crescono e si sviluppano celermente in Italia e nel resto del mondo. Umilmente si adopera per essere “portavoce di Gesù” per far giungere ovunque il messaggio salvifico: “Amor mio! Come mi sento ardere di desiderio di farti da tutti conoscere e amare; vorrei attirare tutto il mondo, dare a tutti, soccorrere tutti… vorrei correre ovunque e gridare forte perché tutti vengano ad amarti”. Nel 1900, quando a seguito di una grave influenza abbandona questa vita terrena e viene accolta tra le braccia del Padre, la sua fama di santità è già molto estesa. Alla sua morte lascia 368 Case nelle quali svolgono la loro missione ben 3.500 suore. “La singolare testimonianza di carità, lasciata dalla nuova Beata – ha affermato Giovanni Paolo II durante la Messa di beatificazione nell’anno 2000 – costituisce ancor oggi uno stimolante incoraggiamento per quanti nella Chiesa sono impegnati a recare, in modo più specifico, l’annuncio dell’amore di Dio che guarisce le ferite d’ogni cuore e offre a tutti la pienezza della vita immortale”.