Nell’omelia conclusiva dell’Assemblea Sinodale, domenica 8 dicembre 1985, a venti anni esatti dalla fine del Concilio Giovanni Paolo II disse: “Cammineremo insieme con il Concilio per rivivere il clima spirituale di quel grande avvenimento ecclesiale e per promuovere, alla luce dei fondamentali documenti allora emanati e dall’esperienza maturata nei successivi vent’anni, la piena fioritura dei germi di vita nuova suscitati dallo Spinto Santo nell’Assise ecumenica, per la maggior gloria di Dio e per l’avvento del suo Regno”.
Verso il 55esimo anniversario
Il prossimo 8 dicembre, ricorre il 55esimo anniversario della fine del Concilio Vaticano II. In un pezzo pubblicato su www.vaticannews.va a firma del giornalista Sergio Centofanti viene analizzato come il Concilio Vaticano II sia un seme che continua a crescere. Riportiamo il pezzo integrale.
Quest’anno, il prossimo 8 dicembre, ricorre il 55.mo anniversario della fine del Concilio Vaticano II. Un evento che in questo periodo sta suscitando un nuovo dibattito nella comunità ecclesiale, di fronte a chi ne prende sempre più le distanze e a chi ne vuole ridimensionare la portata e il significato.
Una nuova Pentecoste
Benedetto XVI ha usato una parola forte: ha parlato di una “nuova Pentecoste”. Lui è stato un testimone diretto del Concilio, partecipando in veste di esperto, al seguito del cardinale Frings, e poi come perito ufficiale: “Speravamo che tutto si rinnovasse – ha detto ai sacerdoti di Roma il 14 febbraio 2013 – che venisse veramente una nuova Pentecoste, una nuova era nella Chiesa (…) si sentiva che la Chiesa non andava avanti, si riduceva, che sembrava piuttosto una realtà del passato e non la portatrice del futuro.
E in quel momento, speravamo che questa relazione si rinnovasse, cambiasse; che la Chiesa fosse di nuovo forza del domani e forza dell’oggi”. E citando Giovanni Paolo II nell’udienza generale del 10 ottobre 2012, fa sua la definizione del “Concilio come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel XX secolo: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre” (Novo millennio ineunte, 57): il “vero motore” del Concilio – aggiunge – è stato lo Spirito Santo. Dunque, una nuova Pentecoste: non per una creare una nuova Chiesa, ma per “una nuova era nella Chiesa”.
La fedeltà è in movimento
Ciò che il Concilio ha mostrato con più evidenza è che l’autentico sviluppo della dottrina, che viene trasmessa di generazione in generazione, si realizza in un popolo che cammina unito guidato dallo Spirito Santo. È il cuore del celebre discorso di Benedetto XVI alla Curia romana del 22 dicembre 2005. Benedetto parla di due ermeneutiche: quella della discontinuità e della rottura e quella della riforma e del rinnovamento nella continuità.
La “giusta ermeneutica” è quella che vede la Chiesa come “un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino”. Benedetto parla di una “sintesi di fedeltà e dinamica”. La fedeltà è in movimento, non è stasi, è un cammino che avanza sulla stessa strada, è un seme che si sviluppa e diventa albero che amplia sempre di più i suoi rami, fiorisce e produce frutto: come una pianta viva, da una parte cresce, dall’altra ha radici che non si possono tagliare.
Continuità e discontinuità nella storia della Chiesa
Ma come giustificare un rinnovamento nella continuità di fronte a certi cambiamenti forti avvenuti nella storia della Chiesa? A partire da quando Pietro battezza i primi pagani su cui è disceso lo Spirito Santo e dice: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto” (At 10, 34-35). I circoncisi lo rimproverano, ma quando Pietro spiega quanto è avvenuto tutti glorificano Dio dicendo: “Dunque anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché abbiano la vita!” (At 11,18).
È lo Spirito che indica il da farsi e fa muovere, fa andare avanti. In 2000 anni di storia, tanti sono stati i cambiamenti nella Chiesa: la dottrina sulla salvezza dei non battezzati, l’uso della violenza in nome della verità, la questione della donna e dei laici, il rapporto tra fede e scienza, l’interpretazione della Bibbia, il rapporto con i non cattolici, gli ebrei e i seguaci delle altre religioni, la libertà religiosa, la distinzione tra sfera civile e religiosa, solo per citare alcuni temi. Benedetto XVI, nello stesso discorso alla Curia, lo riconosce: su certi temi si è “manifestata di fatto una discontinuità”.
Per esempio, al di là dei ragionamenti filosofici, teologici o di contestualizzazione storica per dimostrare una certa continuità, prima si diceva no alla libertà di culto per i non cattolici in un Paese cattolico e poi si è detto sì. Dunque, una indicazione ben diversa nella pratica.
Lo scandalo di una Chiesa che impara
Benedetto XVI usa parole significative: “Dovevamo imparare a capire più concretamente di prima”, “si richiedeva un ampio ripensamento”, “imparare a riconoscere”. Come Pietro che, dopo la Pentecoste, ancora deve capire cose nuove, ancora deve imparare, ancora deve dire: “Sto rendendomi conto che…”. Non abbiamo la verità in tasca, non “possediamo” la verità come una cosa, ma apparteniamo alla Verità: e la Verità cristiana non è un concetto, è il Dio vivo che continua a parlare.
E riferendosi alla Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa, Benedetto XVI afferma: “Il Concilio Vaticano II, riconoscendo e facendo suo con il Decreto sulla libertà religiosa un principio essenziale dello Stato moderno, ha ripreso nuovamente il patrimonio più profondo della Chiesa. Essa può essere consapevole di trovarsi con ciò in piena sintonia con l’insegnamento di Gesù stesso (cfr Mt 22,21), come anche con la Chiesa dei martiri, con i martiri di tutti i tempi”.
E aggiunge: “Il Concilio Vaticano II (…) ha rivisto o anche corretto alcune decisioni storiche, ma in questa apparente discontinuità ha invece mantenuto ed approfondito la sua intima natura e la sua vera identità. La Chiesa è, tanto prima quanto dopo il Concilio, la stessa Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica in cammino attraverso i tempi”.
Una continuità spirituale
Allora si vede meglio che la continuità non è semplicemente una dimensione logica, razionale o storica, è molto di più: è una continuità spirituale in cui lo stesso e unico Popolo di Dio cammina unito, docile alle indicazioni dello Spirito. L’ermeneutica della rottura è attuata da quanti in questo cammino si separano dalla comunità, rompono l’unità, perché o si fermano o vanno troppo avanti. Benedetto parla dei due estremi: quelli che coltivano “nostalgie anacronistiche” e quelli delle “corse in avanti” (Messa 11 ottobre 2012). Non ascoltano più lo Spirito che chiede una fedeltà dinamica, ma seguono le proprie idee, si attaccano solo all’antico o solo al nuovo e non sanno più mettere insieme le cose antiche e le cose nuove, come fa il discepolo del regno dei cieli.
Uno stile di vicinanza e di accoglienza cordiale che non condanna
Il Papa invita a “recuperare la freschezza originale del Vangelo” e a trasmetterla a tutti. Chiede di concentrarsi sull’essenziale, l’amore di Dio e del prossimo, evitando una modalità di annuncio “ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere (…) in questo nucleo fondamentale ciò che risplende è la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto”. Invece, succede che si parli “più della legge che della grazia, più della Chiesa che di Gesù Cristo, più del Papa che della Parola di Dio”. Esorta a far risuonare sempre il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”. Chiede uno stile di “vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna”. Indica l’arte dell’accompagnamento, “perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro” che bisogna vedere “con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana”.
Eucaristia: non premio per i perfetti ma alimento per i deboli
Desidera una Chiesa dalle porte aperte: “Nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi”. Così “l’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa”. Di qui il suggerimento di avviare percorsi di discernimento caso per caso che valutino l’eventuale ammissione ai sacramenti per chi vive in situazioni irregolari, come viene accennato dall’Esortazione Amoris laetitia. È un passo che ha come fine quello di avvicinare e accompagnare guardando alla salvezza delle persone e alla misericordia di Gesù. Le norme possono diventare pietre come è accaduto alla donna sorpresa in adulterio. E anche certe domande di oggi ricordano quelle che gli scribi e i farisei hanno posto a Gesù 2000 anni fa: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?» (Gv 8, 4-5). La risposta di Gesù la conosciamo.
Giovanni Paolo II: il Concilio continuerà a dare frutti
Francesco non fa che proseguire il cammino sulla via del Concilio. Una continuità spirituale, perché lo Spirito continua a parlare. “Il piccolo seme che Giovanni XXIII depose” – affermava San Giovanni Paolo II il 27 febbraio del 2000 – è cresciuto dando vita a un albero che allarga ormai i suoi rami maestosi e possenti nella Vigna del Signore. Molti frutti esso ha già dato (…) e molti ancora ne darà negli anni che verranno. Una nuova stagione si apre dinanzi ai nostri occhi (…) Il Concilio Ecumenico Vaticano II è stato una vera profezia per la vita della Chiesa; continuerà ad esserlo per molti anni del terzo millennio appena iniziato”.
Giovanni XXIII: la Chiesa usi la medicina della misericordia
Oggi come ieri. Aprendo il Concilio l’11 ottobre 1962, San Giovanni XXIII affermava: “Spesso … avviene … che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano … i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo”. E parlando degli errori di carattere dottrinale aggiungeva: “Non c’è nessun tempo in cui la Chiesa non si sia opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando”.
Paolo VI: per la Chiesa nessuno è escluso, nessuno è lontano
A chiusura del Concilio, l’8 dicembre 1965, San Paolo VI nel suo “saluto universale” affermava: “Per la Chiesa cattolica nessuno è estraneo, nessuno è escluso, nessuno è lontano … questo Nostro universale saluto rivolgiamo anche a voi, uomini che non Ci conoscete; uomini, che non Ci comprendete; uomini, che non Ci credete a voi utili, necessari, ed amici; e anche a voi, uomini, che, forse pensando di far bene, Ci avversate! Un saluto sincero, un saluto discreto, ma pieno di speranza; ed oggi, credetelo, pieno di stima e di amore … Ecco, questo è il Nostro saluto: possa esso accendere questa nuova scintilla della divina carità nei nostri cuori; una scintilla, la quale può dar fuoco ai principii, alle dottrine e ai propositi, che il Concilio ha predisposti, e che, così infiammati di carità, possono davvero operare nella Chiesa e nel mondo quel rinnovamento di pensieri, di attività, di costumi, e di forza morale e di gaudio e di speranza, ch’è stato lo scopo stesso del Concilio”.
Dire parole buone in questo tempo difficile
In questo tempo in cui la Chiesa cattolica è attraversata in modo particolare da contrasti e divisioni, ci fa bene ricordare le esortazioni di San Paolo alle prime comunità cristiane. Ai Galati ricorda che “tutta la legge (…) trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda – avverte – guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito” (Gal 5,14-16). E agli Efesini aggiunge: “Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano. E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno della redenzione. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo” (Ef 4, 29-32). Cosa succederebbe se mettessimo in pratica “sine glossa” questa Parola?