Caro direttore,
ho letto con grande entusiasmo, orgoglio e commozione l’articolo di Giacomo Galeazzi che ha raccolto la testimonianza di Francesco La Licata sul magistrato Rosario Livatino, ucciso dalla mafia. Galeazzi lo chiama giustamente un martire di giustizia e verità e io voglio dirgli idealmente il mio grazie affinché il suo sacrificio non sia stato vano.
Io li ricordo bene, quelli sono stati anni molto difficili per l’Italia e per gli italiani, soprattutto per gli uomini del sud, come me. Grazie a persone come Livatino che i cittadini sono arrivati a prendere della possibilità di contrastarla, di poter dire no. Alcuni “no”, ahimè, sono stati pagati con la vita. La Licata descrive lo stupore per l’uccisione di quelle che venne chiamato il giudice ragazzino, la facilità con cui la mafia lo uccise. Ed ancora La Licata dice: non fu difeso dalla collettività che lui difendeva ogni giorno. Ecco questo passaggio mi ha colpito e mi ha fatto anche sentire in colpa. Ho pensato a quante volte non difendiamo chi ci difende, quante volte ci disinteressiamo della collettività pensando che un solo comportamento non possa fare la differenza… e invece è possibile. Livatino con la sua vita (e anche con la sua morte) ha fatto la differenza.
Grazie due volte: per aver ricordato Rosario Livatino e per averlo fatto attraverso le parole di Francesco La Licata. Ci sono anche tanti giornalisti che per fare bene il loro lavoro rischiano la vita.
Pino T.