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Perché alcuni giornalisti italiani prendono le parti della dittatura azera e attaccano l’Armenia?

Spett. redazione, il giornalista e analista geopolitico Domenico Letizia ha ritenuto opportuno inviarvi un articolo, pubblicato lo scorso 6 agosto, per puntualizzare alcuni aspetti relativi al contenzioso tra armeni e azeri riguardo il Nagorno Karabakh. Ovviamente non possiamo condividere alcun passaggio del suo intervento per i fatti che vengono riferiti e la storia che viene narrata.

Continuiamo a domandarci per quale motivo un giornalista italiano debba sposare le tesi del regime dell’Azerbaigian che figura al 167° posto su 180 nazioni nell’ultimo Freedom press index, qualche gradino sotto la Corea del nord e altre note dittature; continuiamo a meravigliarci che appoggi la propaganda di Baku che lamenta la perdita di un 13% di territorio e non spenda piuttosto una parola per il restante 87% soggetto a una dittatura trentennale che vede in carcere oppositori politici, attivisti ONG e giornalisti.
Avrà evidentemente, Letizia, le sue buone ragioni…

Quanto ai recenti scontri sul confine tra Armenia e Azerbaigian, iniziatisi il 12 luglio e proseguiti per alcuni giorni, le risultanze documentali e le relazioni indipendenti attestano con certezza che furono i militari azeri a tentare di penetrare nel territorio dell’Armenia come comprovano i corpi dei loro soldati caduti rimasti nella zona cuscinetto dove mai e poi mai avrebbero dovuto trovarsi. Stesso ragionamento per un mezzo militare rimasto nella medesima buffer zone.

A differenza delle convinzioni espresse da Letizia, l’Armenia non ha alcun interesse a una soluzione militare della contesa dal momento che il riarmo negli ultimi anni per miliardi di dollari da parte dell’Azerbaigian la pone presumibilmente in una posizione di inferiorità. Vero invece che il premier armeno Pashinyan ha anche recentemente ribadito la volontà di trovare una soluzione che salvaguardasse i diritti dei popoli dell’Armenia, dell’Artsakh (Nagorno Karabakh) e dell’Azerbaigian; ma tale offerta negoziale è stata per l’ennesima volta respinta da Aliyev che usa il “nemico” armeno per tenere a bada una popolazione sempre più insofferente alla repressione interna.

Non è certo questa la sede per affrontare la vicenda storica e politica della regione del Nagorno Karabakh che il 2 settembre 1991, sfruttando la legislazione sovietica dell’epoca, da oblast’ autonoma proclamò la propria indipendenza rispetto alla neonata repubblica di Azerbaigian che tre giorni prima aveva annunciato la sua fuoriuscita dall’Unione sovietica.
La stessa Corte costituzionale di Mosca nel novembre successivo avallò il pronunciamento della piccola repubblica armena, vennero tenuti un referendum ed elezioni politiche che portarono alla nascita ufficiale il 6 gennaio 1992 del nuovo Stato. La risposta azera fu una guerra – costata 30.000 morti, decine di migliaia di feriti ed enormi distruzioni – al termine della quale gli azeri, nonostante un migliore armamento, vennero sconfitti dai partigiani armeni che misero in sicurezza il territorio conquistando anche distretti contigui.

Le risoluzioni ONU citate da Letizia riguardano proprio gli ultimi mesi della guerra quando l’esercito di difesa del Nagorno Karabakh stava sbaragliando il nemico allo sbando; chiedevano il ritiro dai territori occupati ma contestualmente la cessazione delle ostilità di tutte le parti. Per Letizia gli armeni (che furono fermati dalla minaccia di intervento turco altrimenti sarebbero arrivati fino al mar Caspio…) avrebbero dovuto ritirarsi lasciando ai soli azeri, ancora combattenti, il privilegio di riconquistare le posizioni perdute. Tali contingenti risoluzioni non furono rispettate per prime proprio dalle forze armate dell’Azerbaigian che invece di cessare il fuoco continuarono a combattere fino all’accordo di cessate-il-fuoco del maggio 1994.

Ancora ci domandiamo per quale motivo alcuni giornalisti italiani debbano prendere posizione a favore della dittatura azera e attaccare l’Armenia…

Gli abitanti della piccola repubblica de facto dell’Artsakh (Nagorno Karabakh), 150.000 persone in 11.000 chilometri quadrati, chiedono solo di poter godere del proprio diritto all’autodeterminazione, di vivere in pace e guardare con serenità al futuro.
La loro voce è la voce degli ultimi. Sta a noi decidere da che parte stare.
Grazie per l’attenzione. Cordiali saluti

Questo articolo ci è stato inviato dal Consiglio per la Comunità Armena di Roma www.comunitàarmena.it

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