A questo punto non abbiamo il livello necessario di processi e strumenti per verificare in modo responsabile i contenuti. Rivedremo la nostra decisione alla luce dell'evoluzione delle nostre capacità” mette in evidenza Spotify. No agli spot politici nel 2020, quindi. Spotify decide di sospendere la vendita di spazi pubblicitari alla politica il prossimo anno, quello delle elezioni presidenziali americane. Una scelta legata al fatto che la società non ha la capacità di esaminare e verificare la veridicità dei singoli spot.
Piattaforme on line
Spotify Tecnology annuncia la sua decisione di sospendere la vendita di annunci politici sulla sua piattaforma di streaming musicale dall'inizio del 2020. Il servizio di streaming di musica a pagamento più popolare al mondo, con quasi 141 milioni di utenti, fa sapere che lo stop si estenderà su Spotify podcast. La mossa, è stata segnalata per la prima volta da Ad Age e arriva mentre la campagna per le elezioni presidenziali statunitensi che si terranno nel novembre 2020 si surriscaldano. Le piattaforme on line come Facebook e Google sono sempre più sotto pressione per la diffusione della disinformazione politica sulle loro piattaforme. Twitter ha vietato gli annunci politici fin da ottobre.
Un miliardo di dollari
Negli Stati Uniti quest'anno è stato investito quasi un miliardo di dollari (998,4 milioni) in spot politici, di cui 351 milioni per le primarie presidenziali, rende noto Advertising Analytics, stimando 6 miliardi di dollari di spese pubblicitarie entro il ciclo elettorale del 2020. Il candidato democratico alla Casa Bianca Michael Bloomberg, è quello che ha investito di più, stanziando 124 milioni per la sua campagna dalla discesa in campo lo scorso novembre. Al secondo posto il dem Tom Steyer che ha acquistato spot per 83 milioni di dollari. Gli investimenti pubblicitari politici si sono riversati soprattutto nella capitale, Washington Dc, dove sono stati spesi 485 milioni di dollari.
Endorsement
“Se si votasse oggi per la presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump vincerebbe”, sostiene Michael Moore, il regista e attivista tra i pochi che avevano previsto il trionfo del tycoon alle presidenziali Usa del 2016. “Il livello del suo sostegno non è sceso di una virgola”, ha osservato Moore in un'intervista a Democracy Now. Anzi la gente è ancora «più rabbiosa» perché teme che possa perdere. “Sono voraci nel loro appetito per Donald Trump e questa è una cattiva notizia”, ha affermato Moore, notoriamente critico nei confronti del presidente americano. Il regista premio Oscar, che ha annunciato il suo endorsement per il liberal Bernie Sanders, ha intimato ai dem di non nominare “un'altra Hillary Clinton”, sconfitta da Trump nel 2016. Nel 2020 a fare la differenza, secondo Moore, saranno i voti delle donne, della gente di colore e dei giovani, e per questo nominare un moderato da parte dei democratici significherebbe assicurarsi la sconfitta.
Entità privata
L'esercito americano sta lavorando a un sistema per evitare interferenze russe nelle prossime elezioni presidenziali del 2020, scrive il Washington Post. Con l'operazione denominata Cybercom, l'intelligence punta a individuare e neutralizzare hackers e trolls russi pronti a invadere la rete social americana con contenuti che generano odio e divisioni, esacerbando i toni della campagna presidenziale. Già da un anno gli 007 digitali americani sono impegnati nella nuova “cyber guerra” per individuare falsi account che forniscono notizie fraudolente sulle piattaforme social, da Facebook a Twitter. In questi mesi, scrive il Washington Post, sono stati intercettati hackers e trolls che lavorano per la Internet Research Agency, una entità privata controllata da un oligarca russo considerato vicino al presidente Vladimir Putin. Cybercom avrebbe anche “smascherato” alcuni hackers al servizio dell'intelligence militare russa, inviando messaggi in cui si comunicava l'avvenuto riconoscimento della loro identità.