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A tre anni dall’invasione dell’Ucraina, l’Ue si divide sulla difesa

Dalla riunione informale dei leader europei dedicata alla difesa è emerso il senso di urgenza per trovare delle soluzioni che permettano di compiere dei passi in avanti

L’Ue si divide sulle strategie comuni di difesa a tre anni dall’invasione russa dell’Ucraina. Intanto Volodymyr Zelensky si dice pronto a “negoziati diretti” con Vladimir Putin. “Se questa è l’unica opzione per portare la pace ai cittadini ucraini e a non perdere vite, sicuramente opteremo per questa scelta”, ha detto il presidente ucraino rispondendo a una domanda del giornalista britannico Piers Morgan, in un’intervista postata su Youtube. Il leader ucraino ha quindi aggiunto che avrebbe accettato una “riunione con quattro partecipanti“, senza tuttavia precisare quali fossero, sebbene nei giorni scorsi avesse avanzato l’ipotesi di trattative con la Russia, insieme a Stati Uniti e Unione europea. Finora Zelensky ha sempre respinto l’ipotesi di trattative, soprattutto con Mosca che intende imporre le proprie condizioni. Non solo, nel 2022 vietò con un decreto qualsiasi negoziato con la Russia finché Putin fosse rimasto al potere. Ma l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca – e l’avanzata dell’esercito russo nel Donbass – ha accelerato l’ipotesi di colloqui, con il presidente americano che nei giorni scorsi ha già parlato di un dialogo “in corso” con Mosca. Kiev, ha detto ancora Zelenksy, è inoltre pronta a ricevere “investimenti di aziende americane” per estrarre terre rare dal suo territorio, che ne è ricco. Dopo che Trump aveva chiaramente posto come condizione ottenere questi minerali strategici per la tecnologia industriale moderna in cambio delle forniture di armi americane. Reagendo a caldo alle parole di Trump, il cancelliere tedesco Olaf Scholz aveva bollato come “egoista” la richiesta del tycoon.
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Foto di Peggy und Marco Lachmann-Anke da Pixabay

Kiev-Mosca

Il leader ucraino ha fatto sapere di averne già parlato con lo stesso Trump. E che nulla osta a che le imprese americane assumano un ruolo guida nell’estrazione in territorio ucraino. “Vorrei che le aziende americane sviluppassero qui questo settore”, ha sottolineato Zelensky in una conferenza stampa. Anche il Cremlino ha commentato la richiesta di Trump. Le sue parole, ha detto il portavoce Dmitry Peskov, sono un “suggerimento che l’Ucraina compri l’assistenza. Cioè che non ci sia più assistenza gratuita ma che sia fornita su base commerciale”. Uno sviluppo che non potrebbe che far piacere a Mosca, come ulteriore sintomo di freddezza nei rapporti fra Trump e la dirigenza di Kiev. Ma per gli Stati Uniti “sarebbe meglio non fornire nessuna assistenza”, perché in tal modo “aiuterebbero a mettere fine al conflitto”, ha chiarito il portavoce di Putin. Invece “le consegne stanno continuando“. E “nessuno ha annunciato uno stop alle forniture”, ha sottolineato ancora Peskov, commentando notizie dell’agenzia Reuters secondo cui la nuova amministrazione Usa, a causa di dispute interne, aveva sospeso per alcuni giorni i trasferimenti per poi riprenderli lo scorso fine settimana. “Cerchiamo di trovare un accordo con l’Ucraina in base al quale loro darebbero come garanzia le loro terre rare e altre cose in cambio di quello che noi diamo loro“, aveva detto Trump dallo Studio Ovale della Casa Bianca. E quando un giornalista gli ha chiesto se volesse che Kiev concedesse a Washington le sue terre rare, il tycoon ha risposto: “Sì, voglio delle assicurazioni sulle terre rare“.

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Foto di Glib Albovsky su Unsplash

Terre rare

Le terre rare sono 17 elementi chimici – lo scandio, l’ittrio e il gruppo dei lantanoidi – utilizzati in molti apparecchi tecnologici come superconduttori, magneti, catalizzatori, componenti di veicoli ibridi, laser e fibre ottiche. Oltre un terzo delle riserve mondiali stimate si trova in Cina. Ma esistono depositi consistenti anche in Russia e in Ucraina. Nel cosiddetto “Piano per la vittoria” annunciato lo scorso anno, Zelensky aveva proposto un “accordo speciale” con i partner occidentali che permettesse “lo sfruttamento comune delle risorse strategiche” dell’Ucraina. Il presidente non aveva citato le terre rare, ma aveva portato come esempi altri materiali fondamentali per le attività industriali, come l’uranio, il titanio e il litio. “Dovremmo sfruttare queste risorse nazionali per finanziare tutto ciò che servirà dopo la guerra“, ha osservato il cancelliere Scholz commentando a caldo le parole di Trump al termine del vertice informale dei leader Ue. “Sarebbe molto egoista e autoreferenziale usare questi fondi solo per sostenere la difesa“, ha insistito. Invece, si tratta di garantire che” Kiev “possa finanziare la sua ricostruzione” per “un futuro solido”. Ma evidentemente Kiev ha già deciso di affidarsi al partner americano per lo sviluppo del settore, e a quanto pare senza avvertire in anticipo i partner europei. Dalla riunione informale dei leader Ue dedicata alla difesa è emerso, intanto, il senso di urgenza per trovare delle soluzioni che permettano finalmente di compiere dei passi in avanti. Ma naturalmente i tempi, pur con tutta la buona volontà, sono e restano europei. Dunque il primo vero giro di boa sarà la presentazione del Libro Bianco da parte della Commissione, previsto per il 19 marzo. La novità, però, è che sui finanziamenti il fronte dei frugali vacilla poiché c’è la necessità di trovare risorse fresche. La parola chiave, allora, non è “debito” ma “flessibilità”. Da trovare nel quadro del Patto di stabilità e crescita.
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Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Vertice Ue

Al tavolo del Palais d’Egmont sono emersi nuovi equilibri. Il nord e l’est Europa, vista la vicinanza con la Russia, non hanno difficoltà a spiegare ai propri cittadini l’esigenza d’investire nella difesa (con bilanci previsti tra il 5-6% del Pil come nel caso della Polonia e della Lituania). Il sud è più riluttante – l’opinione pubblica è meno coinvolta man mano che si si allontana da Mosca – e ha un alto debito. La Francia è nel mezzo ma vede l’occasione per costruire quel pilastro europeo della Nato che intende guidare, dall’alto del suo esercito, della sua industria bellica, del suo deterrente nucleare e del suo diritto di veto all’Onu. Risultato: va bene spendere di più a patto che la Commissione non venga poi a bacchettarci sui conti. E così Germania e Olanda, sinora custodi del rigore, si son trovati improvvisamente in minoranza. Ma per passare dal ragionamento alle misure pratiche ce ne corre. Andiamo per esclusione. Gli eurobond restano un tabù sia per Berlino che per l’Aja. E su questo sono affiancate dal Belgio e dalla Svezia. Nessun leader al ritiro ha voluto marcare linee rosse – era un brainstorming d’altra parte – ma c’è chi le descrive come “rosa”. L’Italia e la Grecia allora spingono per uno scorporo delle spese nazionali dal Patto di stabilità, appena approvato. Ursula von der Leyen, dal canto suo, ha proposto di usare la “piena flessibilità” prevista dal Patto perché “in tempi straordinari servono strumenti straordinari”. E nessuno, riferisce l’Ansa, al Palais d’Egmont si è opposto. Ora però bisogna mettere le idee nero su bianco. Una strada potrebbe essere quella di attivare la “clausola di salvaguardia” generale, sulla falsa riga di quanto fatto per il Covid. Oppure ci sarebbe la possibilità di creare una deroga specifica per le spese in difesa.

Road map

La questione adesso è nelle mani della Commissione, che deve presentare una strategia omnicomprensiva, avvalendosi anche della consulenza della European Defence Defence Agency (Eda). Da un lato ci sono infatti le capacità militari da acquisire – con progetti collaborativi di grande portata – e dall’altra le risorse necessarie da impiegare (tenendo conto ovviamente dei piani Nato in corso di finalizzazione, attesi per maggio). Il puzzle è complicato e le incognite diverse. Il risultato delle elezioni in Germania, ad esempio. O la posizione finale dell’Olanda, che al “ritiro” è stata rappresentata dal Lussemburgo poiché il premier Dick Schoof non ha potuto prendervi parte. La road map prevede, dopo il Libro Bianco, un primo confronto al Consiglio Europeo di fine marzo e, potenzialmente, l’accordo a quello successivo, a fine giugno, appena successivo al vertice Nato. Più presto di così l’Unione Europea non ce la fa.

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