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Sulle orme di Giovanni Falcone. Testimonianza

"Cinquant'anni di mafia", il libro di Saverio Lodato è stato presentato ieri al Teatro Golden di Palermo

Falcone
archivio Image / Spettacolo / murales Giovanni Falcone-Paolo Borsellino / foto Imago/Image

Nel segno di Falcone e Borsellino. La presentazione del libro “Cinquant’anni di mafia” (edito dalla Bur-Rizzoli) scritto dal giornalista Saverio Lodato si è tenuta ieri al Teatro Golden di Palermo. Durante la serata un audio con la voce di Giovanni Falcone. E cioè l’intervento che il giudice fece il 16 settembre 1990, in occasione della presentazione della prima pubblicazione del libro “Dieci anni di mafia” (edito dalla Rizzoli), che si tenne a Modena in occasione della Festa de l’Unità. All’evento, organizzato dall’Associazione culturale Falcone e Borsellino, assieme all’autore sono intervenuti numerosi ospiti. E cioè Salvatore Borsellino, fondatore del Movimento Agende Rosse. Il sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato del Csm, Nino Di Matteo. L’avvocato Luigi Li Gotti, storico difensore dei collaboratori di giustizia. L’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato (oggi senatore M5Stelle). Luigi de Magistris, politico ed ex magistrato. A moderare l’incontro, Giorgio Bongiovanni direttore di AntimafiaDuemila. Letture dal libro di Lunetta Savino. Per l’occasione è stata allestita anche una mostra fotografica con gli scatti che ritraggano Lodato e Giovanni Falcone, con cui strinse un legame particolare di stima e fiducia reciproca. Un rapporto che nel 1989 portò il giornalista a raccogliere alcune delle rivelazioni più drammatiche e inquietanti di Falcone. Quando denunciò che dietro al fallito attentato all’Addaura vi era la presenza di “menti raffinatissime”. L’evento è stato trasmesso in diretta streaming.

Foto: Quirinale

Capaci

“L’attentato di Capaci fu un attacco che la mafia volle scientemente portare alla democrazia italiana – afferma il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella-. Una strategia criminale, che dopo poche settimane replicò il medesimo, disumano, orrore in via D’Amelio. Ferma fu la reazione delle istituzioni e del popolo italiano. Ne scaturì una mobilitazione delle coscienze. La lezione di vita di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino divennero parte della migliore etica della Repubblica”. Secondo il capo dello Stato è doveroso ricordare anzitutto il sacrificio di chi venne barbaramente ucciso. E cioè Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani. Insieme a loro ricordiamo Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina. “Testimoni di legalità, il cui nome resta segnato con caratteri indelebili nella nostra storia– evidenzia Sergio Mattarella-. I loro nomi sono affermazione di impegno per una vittoria definitiva sul cancro mafioso e il pensiero commosso va ai loro familiari che ne custodiscono memoria ed eredità morale”. Aggiunge il presidente della Repubblica: “Come sostenevano Falcone e Borsellino, la Repubblica ha dimostrato che la mafia può essere sconfitta e che è destinata a finire. L’impegno nel combatterla non viene mai meno. I tentativi di inquinamento della società civile, le intimidazioni nei confronti degli operatori economici, sono sempre in agguato. La Giornata della legalità che si celebra vuole essere il segno di una responsabilità comune. È necessario tenere alta la vigilanza“. Prosegue il capo dello Stato: “Gli anticorpi istituzionali, la mobilitazione sociale per impedire che le organizzazioni mafiose trovino sponde in aree grigie e compiacenti, non possono essere indeboliti. L’eredità di Falcone e Borsellino è un patrimonio vivo che appartiene all’intera comunità nazionale. Portare avanti la loro opera vuol dire lavorare per una società migliore“.

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Foto © InTerris

La mafia non è invincibile

“La mafia non è affatto invincibile- afferma Giovanni Falcone-. E’ un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni“. Una domenica di luglio di 33 anni un’esplosione devastò il silenzio e la serenità di Palermo. Il giudice Paolo Borsellino, ricostruisce Avvenire, fu travolto dalla violenza della mafia. Con lui morirono coloro che avevano giurato di proteggerlo, la sua scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina. L’autista Toni Vullo, unico sopravvissuto, si salvò. Ma le cicatrici e gli incubi di quella strage non passarono mai. Nella chiesa di Santa Maria della Pietà alla Kalsa l’arcivescovo, monsignor Corrado Lorefice ha celebrato una messa. “Quando i malvagi distruggono i fondamenti dell’umanità solo l’azione dei Giusti può evitare che il loro disegno perverso possa avere successo – ha detto l’arcivescovo nella sua omelia -. Chi uccide un uomo è come se uccidesse il mondo intero e chi salva un uomo è come se salvasse il mondo intero. Teniamo desta la memoria dei Giusti di questi nostri memorabili e amabili Giusti che hanno dato la vita per una Sicilia libera dal maledetto, nefasto e antievangelico potere mafioso. Oggi ci è chiesto di onorare questi nostri martiri della giustizia e della legalità con un rinnovato impulso di fedeltà corresponsabile di tutti agli impegni sanciti dalla nostra Costituzione. Lo dobbiamo anche ai familiari delle vittime”.
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Il giudice Giovanni Falcone (© Vatican Media)

Don Puglisi

Dal 9 al 12 luglio 1962, don Pino Puglisi, martire antimafia e beato, aveva preso parte a un corso di esercizi spirituali a San Martino delle Scale, sulla collina che domina Palermo. In un quaderno, il sacerdote trentenne annota riflessioni sul corso. La mattina del 12 don Puglisi scrive: “Se vogliamo diventare dei conquistatori, dei pescatori di anime, rientriamo in noi stessi e meditiamo gli insegnamenti, le direttive del nostro condottiero: Gesù. Qui non sequitur me ambulat in  tenebris. Il mondo, la carne, le passioni ci daranno l’infelicità, la morte; solo Cristo può darci la salvezza, è lui il Verbum salutis”. Povertà, umiltà, sacrificio sono le tre caratteristiche di Gesù che lo colpiscono sempre di più: “Qui sequitur me habebit lumen vitae. Seguiamolo dunque nel distacco dalle ricchezze: il figlio dell’uomo non ha dove poggiare il capo; semplicità e povertà si addicono alla casa del sacerdote. Con tanta miseria che c’è non può essere ricercato, ricco. Seguiamolo nell’umiliazione: humiliavit semetipsum… usque ad mortem”.

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