L’associazione “Gi.U.Li.A. Giornaliste” è da tempo impegnata nella ridefinizione di un lessico rispettoso e inclusivo. GiULiA (acronimo di: GIornaliste Unite LIbere Autonome), nata nel 2011, è un’associazione di rilievo nazionale fra giornaliste professioniste e pubbliciste che aderiscono allo spirito democratico e solidaristico del Manifesto fondativo. L’associazione si pone due obiettivi principali, sui media e nei media. E cioè modificare lo squilibrio informativo sulle donne anche utilizzando un linguaggio privo di stereotipi e declinato al femminile. E battersi perché le giornaliste abbiano pari opportunità nei luoghi di lavoro, senza tetti di cristallo e discriminazioni. Ha contribuito assieme alle Cpo Fnsi, Usigrai e al sindacato giornalisti del Veneto alla stesura del Manifesto di Venezia, per una corretta informazione sulla violenza di genere e contro ogni forma di discriminazione attraverso parole e immagini. La violenza di genere è una violazione dei diritti umani tra le più diffuse al mondo. Lo dichiara la Convenzione di Istanbul, approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nel 2011 e recepita dall’Italia nel 2013, che condanna “ogni forma di violenza sulle donne e la violenza domestica“. E riconosce come il raggiungimento dell’uguaglianza sia un elemento chiave per prevenire la violenza.
Stop alla violenza di genere
La violenza di genere non è un problema delle donne e non solo alle donne spetta occuparsene, discuterne, trovare soluzioni. Un paese minato da una continua e persistente violazione dei diritti umani non può considerarsi “civile”. Impegno comune deve essere eliminare ogni radice culturale fonte di disparità, stereotipi e pregiudizi che, direttamente e indirettamente, producono un’asimmetria di genere nel godimento dei diritti reali. La Convenzione di Istanbul, insiste sulla prevenzione e sull’educazione. Chiarisce quanto l’elemento culturale sia fondamentale e assegna all’informazione un ruolo specifico richiamandola alle proprie responsabilità (articolo 17). Il diritto di cronaca non può trasformarsi in un abuso. “Ogni giornalista è tenuto al “rispetto della verità sostanziale dei fatti”. Non deve cadere in morbose descrizioni o indulgere in dettagli superflui. Violando norme deontologiche e trasformando l’informazione in sensazionalismo. Serve, dunque, una informazione attenta, corretta e consapevole del fenomeno della violenza di genere e delle sue implicazioni culturali, sociali, giuridiche. La descrizione della realtà nel suo complesso, al di fuori di stereotipi e pregiudizi, è il primo passo per un profondo cambiamento culturale della società e per il raggiungimento di una reale parità.
Lessico rispettoso
Intanto l’Università San Raffaele di Roma ha definito le linee guida per un uso consapevole del genere nei linguaggi istituzionali. Il vademecum, spiegano le docenti Stefania Supino e Daniela Sica, indica alcuni consigli per un “trattamento paritario tra generi nelle scelte linguistiche“. Così da non oscurare i generi maschile e femminile, prediligendo, laddove opportuno, un genere “neutro”. Attraverso un linguaggio non sessista, inclusivo e rispettoso. Occorre, quindi, “evitare formulazioni che possano essere interpretate come di parte, discriminatorie o degradanti”. Perché “basate sul presupposto implicito che maschi e femmine siano destinati a ruoli sociali diversi”. E’ necessario inoltre “privilegiare scelte linguistiche che consentono di non specificare il genere“. Eliminando l’uso del maschile con valenza neutra o inclusiva, per sostituirlo con entrambe le forme, maschile e femminile, anche abbreviate in vario modo. Al fine di “garantire semplicità e chiarezza nei contenuti“. Vanno poi sostituiti i nomi di professioni e i ruoli ricoperti da donne, che sono declinati al maschile, con i corrispondenti femminili (professoressa invece di professore) per dare visibilità a entrambi i generi. Bisogna utilizzare una lingua inclusiva rispettosa dell’identità di genere anche nelle traduzioni in e da altre lingue.
Linguaggio inclusivo
L’Agenda “A tutta donna”, uscito per i tipi di All Around, è un libro-agenda interamente al femminile. Il volume è stato presentato a Roma alla Fondazione Paolo Murialdi. Il progetto, giunto alla quinta edizione e destinato a proseguire in futuro, è pensato e realizzato da donne. Con l’obiettivo di “celebrare la diversità e la forza del mondo femminile, fornendo un palcoscenico per le storie e le esperienze di donne straordinarie”. La curatrice del volume è la giornalista Marina Viola. Per la realizzazione, All Around si è avvalsa della partnership con l’azienda Saugella, impegnata nel diffondere consapevolezza riguardo la violenza di genere e il fenomeno del catcalling. L’azienda nel libro viene raccontata attraverso una serie di interviste realizzate da Alma Maria Grandin, giornalista del Tg1 Rai, scrittrice, componente del board Most powerful women di Fortune Italia. L’agenda All Around raccoglie inoltre testimonianze di lavoratrici del settore vinicolo, intervistate da Eva Panitteri, giornalista, sommelier e content creator. Una sezione è dedicata alla poesia e al laboratorio multidisciplinare Lunatika Factory, fondato nel 2020 da Giulia Massarelli. Spazio anche al fashion e alle calzature iconiche con i testi di Paola Cacianti, giornalista di cultura, costume e moda. Altro progetto al femminile di All Around, ha ricordato l’editrice Lucia Visca, è la collaborazione appunto con l’associazione “Gi.U.Li.A. Giornaliste”, impegnata nella ridefinizione di un lessico rispettoso e inclusivo.
Formazione
Nel giornalismo, inoltre, occorre inserire nella formazione deontologica obbligatoria quella sul linguaggio appropriato anche nei casi di violenza sulle donne e i minori. Va adottato un comportamento professionale consapevole per evitare stereotipi di genere. Assicurando massima attenzione alla terminologia, ai contenuti e alle immagini divulgate. E’ necessario adottare un linguaggio declinato al femminile per i ruoli professionali e le cariche istituzionali ricoperti dalle donne e riconoscerle nella loro dimensione professionale, sociale, culturale. Bisogna poi attuare la “par condicio di genere” nei talk show e nei programmi di informazione, ampliando quanto già raccomandato dall’Agcom. E’ importante utilizzare il termine specifico “femminicidio” per i delitti compiuti sulle donne in quanto donne e superare la vecchia cultura della “sottovalutazione della violenza”: fisica, psicologica, economica, giuridica, culturale. Al tempo stesso occorre sottrarsi a ogni tipo di strumentalizzazione per evitare che ci siano “violenze di serie A e di serie B” in relazione a chi subisce e a chi esercita la violenza. Vanno evitate espressioni che anche involontariamente risultino irrispettose, denigratorie, lesive o svalutative dell’identità e della dignità femminili. Stop, dunque, a termini fuorvianti come “amore” “raptus” “follia” “gelosia” “passione” accostati a crimini dettati dalla volontà di possesso e annientamento. Non vanno fornite attenuanti e giustificazioni all’omicida, anche involontariamente. Motivando la violenza con “perdita del lavoro”, “difficoltà economiche”, “depressione”, “tradimento”. Il femminicidio deve essere sempre raccontato dal punto di vista del colpevole, partendo invece da chi subisce la violenza, nel rispetto della sua persona.