Può una piccola malformazione essere ragione di emarginazione sociale? Sì, se questa si manifesta a chi già vive in condizioni di indigenza e, per di più, in un Paese svantaggiato dal punto di vista economico ma elitario nell’esercizio della vita pubblica. Ecco, quindi, che un problema risolvibile con una semplice (per i nostri standard) operazione chirurgica può trasformarsi, in questi casi, in una montagna insormontabile. A meno che non vi sia qualcuno che, nella consapevolezza di quanto un aiuto possa fare la differenza, si rimbocchi le maniche per aiutare chi soffre determinate situazioni, a riscattare il proprio ruolo sociale. Emergenza Sorrisi ETS, fondata dal dottor Fabio Massimo Abenavola, si pone questo e altri obiettivi. Perché la correzione di un labbro leporino (cheiloschisi) è solo il punto di partenza. La speranza è tutta nella formazione di personale ospedaliero nei Paesi dove la sanità è priva di mezzi e sostentamenti, di risorse ma non di medici di buona volontà.
Presidente, qual è il reale raggio d’azione di Emergenza Sorrisi?
“Si occupa di attività sanitaria a 360 gradi. Medici e infermieri offrono servizio gratuito. Ha tre basi: realizzare missioni chirurgiche nei Paesi con minori risorse, sanità a pagamento e senza formazione al personale. Andiamo attraverso accordi, ospedali locali, attività chirurgica, inclusa quella che riguarda le ustioni di guerra. La formazione riguarda il medico e il paramedico. Al di là di questo, il nostro intervento include attività di sensibilizzazione tramite vari progetti. In alcuni casi, i bambini da noi assistiti sono stati portati in Italia e curati”.
Si agisce quindi creando realtà ambulatoriali locali?
“I nostri sono progetti a lungo termine e, per dare loro un seguito, creiamo la stessa organizzazione gestita localmente. Facciamo attività di collaborazione con autorità sanitarie del Paese per supportare nostro impegno. Quando c’è stato il Covid abbiamo fatto attività di formazione a distanza, sia per il monitoraggio che per le terapie”.
Perché nasce Emergenza Sorrisi?
“Un sogno che inseguo da trent’anni. Andare in Africa come medico. Ho trovato tante persone che lo condividevano come esperienza di vita. E questo si ripercuote sulle nostre consuete attività. Nasce dal desiderio di ridare quello che noi abbiamo avuto. A tre ore di aereo ci sono situazioni miserrime. L’ho detto anche ai miei giovani assistenti: avete la possibilità di formarvi, altri non hanno nemmeno accesso ai libri o a un ferro chirurgico. Non ci rendiamo conto di quanto siamo fortunati. La finalità è consentire a tutti gli altri di raggiungere quello status professionale che noi abbiamo la possibilità di avere. In alcuni Paesi, chi ha un labbro leporino non può mostrarsi agli altri e questo genera emarginazione. In questi contesti manca l’essenziale. Gli stessi personaggi della sanità si complimentano perché il nostro impegno va al di là del singolo impegno chirurgico. Un po’ come il piano Mattei, si cerca di favorire un percorso di sviluppo”.
Abbiamo parlato dell’Africa ma le emergenze sanitarie caratterizzano anche altri Paesi…
“Ora partirà missione per l’Iraq, dove siamo presenti da tanti anni. RIsorse immense ma in condizioni di miseria. In questi contesti non ci sono medici, la sanità è a pagamento. La guerra ha determinato un danno incredibile. E lo stesso anche in Siria, Paese sviluppatissimo ma con condizione di disagio. Il Pakistan lo stesso. Ci sono condizioni che non sono solo presenti in Africa ma anche dove ci sono risorse. L’uomo si inserisce in questi contesti di violenza e sopraffazione senza rendersi conto. Emarginazione, malattia, deformità del volto…
Quanto incide la formazione dei medici nello sviluppo sanitario locale?
“La risposta in loco è molto buona, anche perché la formazione avviene su chirurghi perlopiù già formati, che già lavorano, hanno manualità e contatto col paziente giornaliero. Sono professionisti con i quali si interagisce bene, hanno un’opportunità di vita. In Iraq ci sono 4-5 medici, creata scuola, abbiamo fornito materiali, creato centro di riferimento, anche in Afghanistan.
Nello specifico del labbro leporino, di quanti casi si parla?
“In alcuni contesti, soprattutto in Africa, i registra un caso ogni 500/600 nascite. In Italia, tanto per fare un paragone, siamo a un caso ogni 1.300-1.500 nascite circa. In un Paese africano, quindi, parliamo di una casistica di tre volte superiore alla percentuale media di uno europeo”.