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“Complessità detentiva”. Come cambia il sistema penitenziario

Carceri e nuovi spazi detentivi: l'impegno della Lumsa Human Academy

L’università Lumsa promuove una riflessione sul sistema penitenziario. A partire dalla consapevolezza che “le persone detenute hanno diritti costituzionali e universali che devono essere riconosciuti“. Occorre, quindi “ricostruire un rapporto tra carcere e territorio”. Inoltre oggi “l’esecuzione della pena avviene spesso senza umanità”. Servono, dunque, “celle singole e strutture più rispondenti alla realtà del pericolo”. Un percorso di approfondimento che ha trovato espressione alla Lumsa Human Academy-Fondazione Luigia Tincani.  Il seminario ha avuto per titolo “Nuovi approcci per la complessità detentiva”. L’Italia è protagonista, infatti, del sistema penitenziario europeo “attraverso la sinergia tra normativa, formazione e professioni”. Nel tempo si è consolidato un dialogo di collaborazione tra l’ateneo romano e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). Durante l’evento è stato presentato il Corso di alta formazione sulle “Strutture detentive e management gestionale complesso”. La Fondazione Lumsa  Human Academy-Fondazione Luigia Tincani lo ha messo in cantiere per il 2025. Pensandolo come laboratorio di idee utili a un miglior funzionamento del sistema penitenziario e delle sue strutture. Uno spazio in cui le attuali e future generazioni di professionisti (ingegneri e architetti) saranno chiamati a progettare, con uno spirito attento alla persona, le nuove strutture penitenziarie del Paese. E a comprenderne le logiche virtuose di management gestionale.

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Foto di Ye Jinghan su Unsplash

Sistema in evoluzione

Giovanni Russo è stato a capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Ed incoraggia “iniziative e corsi di alta formazione che fondano su basi scientifiche la loro attività. E che soprattutto non esitano a ‘sporcarsi le mani’ con un mondo particolarmente complesso e difficile come quello delle carceri. Un istituto non deve essere allontanato dal centro delle città. Relegato in luoghi dove diventa difficile anche per la società interloquire. Vanno perciò create occasioni di contatto e di confronto. Occorre un’idea di ricostruzione degli istituti non solo come luogo fisico, ma anche come rapporto tra carcere e territorio. Perché le persone recluse sono uomini che hanno sbagliato, sono stati giudicati colpevoli, sono stati condannati a una pena che dovranno scontare in sicurezza e dignità. Ma hanno diritto a vedersi riconosciuti tutti i diritti che spettano secondo la Carta Costituzionale e secondo le regole universali che ci rendono uomini tra gli uomini“. I numeri sul sovraffollamento parlano chiaro. Dai dati sopraggiunti dalle carceri italiane, i detenuti nelle strutture presenti nel nostro Paese sono 61.468, dovrebbero essere invece 47.067, le persone detenute, in base ai posti disponibili negli istituti penitenziari. Il Dap è uno dei cinque dipartimenti in cui si divide il Ministero della giustizia. Svolge attività di controllo e verifica dei risultati e degli obiettivi conseguiti nell’adempimento dei compiti dei dirigenti penitenziari e dal personale dipendente. Oltreché attività di coordinamento delle diverse aree funzionali che operano nelle varie articolazioni dell’amministrazione penitenziaria.

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Carcere (© Marcello Rabozzi da Pixabay)

Canone fondamentale

Riccardo Turrini Vita è il presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. E osserva: “Oggi gli stabilimenti penitenziari sono in parte tratti da istituzioni che avevano altro fine. E altri sono facilmente invecchiati, per non dire non rispondenti a una visione umana, non voglio neanche dire costituzionale, dell’esecuzione della pena. La decenza di vita negli istituti passa dall’assegnazione di una camera individuale ad ogni persona ristretta, unita a dei basilari servizi igienici che tutti noi in Italia consideriamo necessari. Queste condizioni di decenza possono avere positive ricadute, non solo nella gestione dell’ordine, ma soprattutto della sanità psichica e fisica degli stessi reclusi. Considerato che troppi accadimenti inspiegabili forse riposano sulla commistione notturna degli stessi nostri ospiti”.  Il Garante nazionale ritiene dunque che “quella accortezza dovrebbe essere un canone fondamentale, come forse potrebbe essere utile calibrare la pesantezza delle strutture detentive alla realtà del pericolo o della necessità che esse pongono. Strutture meno gravi possono servire ugualmente bene alla più larga parte dei detenuti“. L’assistenza sanitaria alla popolazione detenuta è di competenza del Servizio sanitario nazionale (Ssn) e dei Servizi sanitari regionali. Negli ultimi anni sono cambiate la cura e la gestione del malato psichiatrico ed è cambiato soprattutto l’approccio alla cura, che non è più quello della “malattia mentale” ma dell’ammalato, con lo scopo di reinserirlo nel tessuto sociale.

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Foto di K. Mitch Hodge su Unsplash

Disagio psichico

Secondo il magistrato Roberta Palmisano, già direttore dell’Ufficio studi, ricerche, legislazione e rapporti internazionali del Dap “il disagio mentale per il detenuto determina difficoltà di integrazione nella comunità carceraria anche maggiori”. Ed è “essenziale rendersene conto per individuare un’efficace azione amministrativa. Soltanto la conoscenza dello stato di salute dei reclusi consente la diversificazione delle strategie dell’amministrazione penitenziaria. Con interventi strutturali sugli ambienti e sui regimi carcerari. E con l’intensificazione dei rapporti tra servizi sanitari dentro e fuori dal carcere. Assicurare condizioni di vita quotidiana dignitose all’interno del carcere rappresenta senz’altro la prima misura per il controllo del disagio psichico dei detenuti- Un’azione che coinvolge tutti gli operatori che compongono l’universo carcerario“.

 

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