I musei come ponte fra passato e futuro. “Quando si esce da un museo, è come essere tornati da un viaggio di migliaia di anni, durato poche ore- sostiene lo scrittore Fabrizio Caramagna-. E’ un buon museo se hai più domande quando esci che quando entri”. Spazi espositivi in grado di sorprendere i visitatori e sollecitare la sete di conoscenza delle nuove generazioni. Con tanti nodi da sciogliere per progettare l’avvenire della divulgazione culturale. Luoghi di conservazione o di esperienza? Con che tipo di esposizione? E con quale linguaggio? In altre parole, come saranno i musei del futuro? Parte da qui la riflessione di Ico Migliore e Mara Servetto, co-fondatori dello studio di progettazione milanese Migliore+Servetto, tre volte premio Compasso d’Oro, oggi autori di Museum Seed. The Futurability of Cultural Places, edito da Electa con il supporto dell’Istituto di Cultura Italiana a Seoul. Un volume ricco di fotografie e con gli interventi di 15 contributor internazionali tra direttori di musei, collezionisti, critici, curatori, medici (si va dal direttore della Pinacoteca di Brera, Angelo Crespi, al presidente del Korean Institute of Architects, Chun Eui Young, fino allo stilista Seok Yong Bae), che diventa anche un manifesto programmatico in otto punti.
Musei creativi
“Come studio ci occupiamo molto di spazi di cultura, non solo cultura alta, ma anche di conoscenza”, racconta Mara Servetto che con Ico Migliore si è occupata del Museo Egizio di Torino come del Museo di Storia Naturale di Milano o dello Chopin Museum di Varsavia, ma anche del Museo del risparmio di Torino o del Blue Line Park nato sull’oceano dalla riconversione di cinque chilometri di ferrovia dismessa a Busan, in Corea del Sud. Fino alle due librerie Electa progettate nel Parco archeologico del Colosseo, appena inserite nella World’s Most Beautiful Emporiums List 2024 del prestigioso Prix Versailles, che il 2 dicembre correranno per uno dei tre titoli mondiali (Prix Versailles, Mention Intérieur, Mention Extérieur) alla sede Unesco di Parigi. “La conoscenza nasce anche dal mettere in contatto le persone con qualcosa”, prosegue Servetto, distinguendo tra due grandi tipologie: il “museo chiodo-parete” e il “museo-lunapark”. Il primo, prettamente dedicato alla conservazione. Il secondo, dove la spettacolarità rischia di prevalere sul contenuto. E “si torna a casa ricordando il divertimento, più che il pittore esposto”.
Spazi culturali
“Centrale oggi è la narrazione, ma deve essere pensata a più livelli – dice all’Ansa– Visitare un museo deve essere emozionante quanto andare a teatro, ma un luogo di cultura deve anche essere capace di innestarsi nel tessuto urbano e sociale del territorio circostante per rendersi attivatore di nuovi comportamenti. Altrimenti, un’opera si può vedere anche su internet. Gli spazi culturali, invece, devono aprirsi alla comunità, che non è fatta solo di persone di una certa cultura o età, ma del gruppo sociale, di generazioni diverse”. Che hanno anche comportamenti diversi. I numeri, ad esempio, raccontano come l’80% dei visitatori under 35, preferisca visitare musei interattivi con tecnologie integrate. Mentre il 42% prima di andare in un museo visita i suoi canali social e il sito web. “La tecnologia – prosegue Servetto – gioca un ruolo importantissimo, ma bisogna utilizzarla per stratificare una conoscenza che incida nei comportamenti, che muova qualcosa, come un ‘seed’, un seme, appunto. In modo che dopo una visita al Museo Chopin venga voglia di andare, magari, a un concerto. I giovani oggi agli oggetti preferiscono il viaggio, l’esperienza, ma anche per loro bisogna trovare il livello di narrazione giusta“.
Luoghi di crescita
Nasce così il manifesto in otto punti che va da “la forma segue il contenuto e le emozioni” alla “nidificazione urbana”, da “luogo di guarigione” a “garante dell’innovazione”. Il museo dunque sopravviverà al futuro? “Si e avrà un ruolo molto importante – assicura Servetto – Tornerà a essere il luogo di incontro e ricerca che era all’epoca dei romani e dei greci. Non sarà più solo conservazione. Anzi, potrà diventare un riferimento per le comunità: un luogo dove potersi accrescere, dove incontrare gli altri e, soprattutto, se stessi“. Secondo lo scrittore francese Jean-Marie Gustave Le Clézio “la funzione di un museo dovrebbe essere non quella di mostrarci delle cose. Ma di permettere di vedere in noi stessi attraverso le cose, di misurarci in relazione agli oggetti esposti”.