Hanno nomi tra i più disparati. Ci sono quelli pittoreschi come Krokodil, le sigle come Ghb e quelli che evocano farmaci come fentanyl. Ma piuttosto che per curare, vengono sovente usate per sballare. Lo sballo, tuttavia, può essere letale. Si tratta delle nuove sostanze psicoattive, chiamate più comunemente nuove droghe. Quelle in circolazione in Europa sono 730, secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze; 55 quelle segnalate nel 2018. A lanciare l’allarme sugli effetti terribili che possono provocare queste sostanze sono stati gli esperti riuniti al congresso della Società italiana di psichiatria (Sip), che si è tenuto nei giorni scorsi a Firenze. Nella Giornata mondiale contro la droga, che si celebra oggi, In Terris è tornato sul tema di queste nuove sostanze (qui un’inchiesta di oltre un anno fa) intervistando il prof. Massimo Di Giannantonio, presidente del Sip.
Di cosa si tratta
“Il termine ‘nuovo’ non è sempre appropriato per definire tali molecole – spiega Di Giannantonio, che è professore ordinario di Psichiatria presso l'Università degli Studi di Chieti – ma va riferito prevalentemente all’insorgenza del loro uso ricreativo”. Egli sottolinea, infatti, che spesso queste sostanze “sono frutto del ‘riciclaggio’ di prodotti sintetizzati in passato per scopi farmacoterapeutici e spesso abbandonati a causa dei notevoli effetti avversi”. Il presidente della Sip rileva che “da un punto di vista farmacologico sono estremamente eterogenee“, tanto che “le differenze di struttura chimica fra le singole sostanze rendono la predizione degli effetti desiderati e avversi dei rischi per la salute e degli eventuali interventi terapeutici estremamente complessa”. Rischi che sono davvero terrificanti. Il prof. Di Giannantonio fa un paragone con la cocaina: se la polvere bianca – spiega – “dà una sensazione eurofizzante e di potenziamento delle funzioni motorie e mentali”, le nuove sostanze psicoattive, invece, “inducono una percezione distorta della realtà circostante e una visione alternata dello spazio e del tempo”. L’allarme è tutt’altro che da sottovalutare: “La loro assunzione – prosegue – può portare ad allucinazioni, deliri paranoidi o addirittura casi di coma”. In particolare Di Giannantonio pone l’accento sugli oppiacei sintetici, spesso derivati dal fentanyl, che svolge “un’azione circa 100 volte maggiore rispetto a quella della morfina”. Ma essendo il fentanyl un farmaco legale, sfugge ai controlli. Secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio europeo delle droghe, un caso di overdose su dieci in Europa è legato proprio agli oppiacei sintetici.
Facili da reperire
Come già evidenziato su In Terris dal dott. Carlo Locatelli, tossicologo clinico e direttore del Centro Antiveleni dell'Ics Maugeri Spa Società Benefit, struttura di riferimento del Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio, queste sostanze sono di facile reperibilità e molte “non sono ancora catalogate, dunque non sono considerate sostanze stupefacenti e sono di libero commercio”. La problematica in questione viene rilevata anche dalla Sip. Il prof. Di Giannantonio spiega che hanno un “dubbio status legale”, sono peraltro “impossibili da rintracciare nei liquidi biologici con i comuni test tossicologici standard”. Egli agita poi il problema del “loro ‘marketing online’, che consente di raggiungere infiniti potenziali acquirenti, molto spesso giovani o giovanissimi”.
Il caso cannabis
I più giovani sono anche i più vulnerabili alle sirene, la cui risonanza è dovuta alle incessanti campagne per la legalizzazione, del consumo di cannabis. Quella che circola oggi – sottolineano gli esperti – è molto più potente rispetto a quella che si consumava anni fa, in quanto nuove tecniche di coltivazione, estrazione e produzione hanno favorito lo sviluppo di varietà ibride, a cui si aggiungono i cannabinoidi sintetici. “Queste sostanze – afferma Di Giannantonio – sono sempre diverse, è quasi impossibile fare studi su sostanze in continua modificazione. Ma certamente vi sono dati a sufficienza per concludere che l’associazione tra consumo di cannabis e sviluppo di schizofrenia o altre psicosi è solida, soprattutto se l’uso è molto frequenze sin già dal periodo dell’adolescenza, quando il cervello e le sue connessioni vivono ancora un periodo di intensa trasformazione”. Molto, però, sembra dipendere anche dall’attitudine personale dei soggetti coinvolti, per questo si stanno effettuando diversi studi per capire se il nesso tra cannabis e psicosi possa essere caratterizzato anche da un fattore genetico. “Non esiste alcuna certezza che la cannabis, la sostanza più nota e studiata in assoluto, provochi schizofrenia o conseguenze simili in persone che altrimenti non l’avrebbero avuta, ma molti indizi sembrano portare gli esperti in questa direzione” afferma Di Giannantonio. Che conclude: “Ulteriori sviluppi sono attesi dai nuovi studi ancora in corso su adolescenti, adulti ed anche bambini, per capire quali conseguenze aspettarsi da chi fumerà cannabis”.