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Settima arte tra spazio e tempo: la storia sul grande schermo

Vita e carriera di Adolfo Bartoli, "artigiano della luce". Il libro, a cura di Gerry Guida, è un viaggio nella storia del cinema

Da più di un secolo il cinema è definito la settima arte. Il primo a chiamarlo così fu un critico cinematografico. Nel 1921, infatti, Ricciotto Canudo pubblicò il manifesto “La nascita della settima arte”, prevedendo che la cinematografia avrebbe unito in sintesi l’estensione dello spazio e la dimensione del tempo. Una delle opere più enigmatiche e profetiche del premio Nobel per la letteratura si intitola “Quaderni di Serafino Gubbio operatore”.  Giunto a Roma in cerca di impiego, per una serie di coincidenze Serafino Gubbio trova lavoro come operatore per la casa cinematografica Kosmograph. Il suo nuovo ruolo disumanizzato di “mano che gira la manovella” gli permetterà di guardare il mondo da osservatore esterno e di cogliere le meschinità, le contraddizioni e la pochezza dei sentimenti e delle ambizioni che muovono attori, impresari e collaboratori che gravitano intorno al mondo del cinema. Come la femme fatale Varia Nestoroff, il frivolo Aldo Nuti o il tragicomico dottor Cavalena. Eccelso uomo di teatro, Luigi Pirandello ebbe un rapporto di attrazione e odio con la cinematografia, arte simbolo della civiltà delle macchine. Ad essa Pirandello non risparmiò critiche feroci ma di cui seppe anche anticipare e teorizzare sviluppi futuri. Gli saranno debitori straordinari registi quali Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Ingmar Bergman e tanti altri. Un rapporto complesso e ambivalente, indagato acutamente da studiosi come Stefano Milioto.

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La presentazione del progetto Archivio Desaparecido, Cinema Palazzo di Roma. Foto del Centro di Giornalismo Permanente

Cinema come libertà

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ha ribadito che “l’Italia e il suo cinema sono inscindibili” alla cerimonia di presentazione al Quirinale dei candidati agli ultimi premi “David di Donatello”. Il Capo dello Stato ha evidenziato che “la storia del nostro Paese, la storia della Repubblica, delle conquiste di libertà e democrazia, è passata dal grande schermo. È stata narrata attraverso emozioni, volti, sentimenti, attraverso vicende drammatiche e speranze che sorgevano attraverso la quotidianità del vivere e l’eccezionalità di tante storie personali”. E ha aggiunto: “Il cinema, vivendo in un contesto di libertà e di pluralismo, svolge questa preziosa funzione di ricerca e di sfida creativa, incoraggiato nel produrre, nell’innovare, anche nel rischiare. E il cinema, nel volgere degli anni, ha costantemente ampliato le sue potenzialità espressive e narrative e, con esse, la capacità di quanti ne fruiscono di immaginare, conoscere, riflettere, fare memoria, sorridere e piangere, sognare”. Secondo il drammaturgo e poeta Jean Cocteau “il cinema è la scrittura moderna il cui inchiostro è la luce”.

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Foto © Francesco Ammendola

Arte in viaggio

Per il regista Ettore Scola “Il cinema è uno specchio dipinto”. Certi incontri cambiano la vita e possono trasformare un uomo in un artista. È quello che è successo ad Adolfo Bartoli. Lo storico direttore della fotografia, recentemente scomparso lo scorso, ha voluto raccontare il proprio percorso professionale. Il libro si intitola “Incontri che cambiano la vita. Il cinema di Adolfo Bartoli, artigiano della luce”. A pubblicarlo è stata la casa editrice Artdigiland, a cura di Gerry Guida. La prima presentazione si è svolta nella capitale. Precisamente nella Sala Consiliare del Municipio Roma III di piazza Sempione. Il volume parte dal periodo al servizio della Mole-Richardson Co. Passando dagli anni da assistente e operatore alla macchina fino a quelli da autore. Si ripercorre la storia di Bartoli attraverso la formula dell’intervista, consentendogli di ricordare tutti i compagni di viaggio da lui incontrati. Decine e decine di nomi. Per altrettanti aneddoti legati non solo a grandi personalità come Sean Connery e Sophia Loren. Ma anche a colleghi di ogni ordine e grado incrociati sui set di tutto il mondo.

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Foto di Barbara Burgess su Unsplash

Apprendistato d’arte

L’apprendistato di Aldo Bartoli avvenne al servizio di Pasqualino De Santis in capolavori come “Gruppo di famiglia in un interno” di Luchino Visconti e “Cristo si è fermato a Eboli” di Francesco Rosi. Poi Bartoli ha trovato la sua consacrazione proprio fuori dai confini italiani. Ed è stato davvero ovunque. Ha lavorato in Cambogia e Hong Kong per “Lord Jim” di Richard Brooks. Nella foresta amazzonica per “I miracoli accadono ancora” di Giuseppe Maria Scotese. In Israele quando scoppiò la guerra del Kippur, a Cipro quando fu divisa. Con il regista e produttore Gianfranco Bernabei, il cosiddetto “artigiano della luce” ha solcato i mari dell’Australia e della Polinesia per “Tutti in pista nel Sesto Continente” e “Il grande oceano di Capitan Cook”. Con i produttori e registi Ovidio G. Assonitis e Charles Band, Bartoli è poi passato allo status di autore della fotografia, dividendosi tra gli Stati Uniti e l’Est Europa, in film di genere come “Il pozzo e il pendolo”, “Vampire Journals” o le saghe dei “Puppet Master e Trancers”. Sul finire degli anni ’90 ha firmato la fotografia di “The Second Jungle Book: Mowgli & Baloo”. La più importante produzione internazionale, in termini di budget, a cui abbia preso parte.

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Firenze. Foto di Heidi Kaden su Unsplash

Set e creazione

Proprio il suo rapporto con i colleghi di tutto il mondo, evocato in tante delle sue risposte, è infine certificato dalle cento pagine di contributi di amici e compagni di set che seguono il racconto. Un “tesoretto della memoria“, riferisce Sara Venuto (Ansa), che si conclude con le parole della figlia di Adolfo Bartoli, Tatum, che perfettamente fanno il punto delle ragioni che hanno portato a questo volume. “Mio padre aveva una specie di dono, oltre ad illuminare tutti con le sue luci, illuminava tutti con il suo sapere, gli piaceva insegnare sia nella vita professionale che in famiglia e non smetteva mai di essere curioso di tutto ciò che lo circondava – scrive -. Questo libro era infinitamente importante per lui perché qui poteva finalmente raccontare le sue esperienze e mostrare ai suoi collaboratori e ai familiari quanto fossero state significative per lui”. Perché solo così, forse, si può davvero comprendere l’immagine di un uomo che “anche quando ormai non lavorava più sul set, non smetteva mai di creare“.

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