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La pace a Gaza passa dall’Arabia Saudita

L’Arabia Saudita non procederà ad alcuna “normalizzazione delle relazioni” con Israele senza la nascita di “uno Stato palestinese indipendente, con Gerusalemme est come capitale”. Il tema della ripresa dei colloqui sugli Accordi di Abramo era sul tavolo dell’incontro alla Casa Bianca tra Donald Trump e Benyamin Netanyahu, tanto che il premier israeliano, in conferenza stampa a Washington, ha assicurato che “la pace tra Israele e Arabia Saudita non solo è fattibile, ma ci sarà”. Ma le uscite del tycoon sul futuro di Gaza e dei palestinesi che, nelle sue intenzioni, dovranno lasciare la Striscia hanno costretto Riad a ribadire, ancora una volta, la sua posizione “ferma e incrollabile”: non ci saranno relazioni diplomatiche con Israele senza uno Stato palestinese, condizione che Netanyahu non intende concedere. In una nota su X, il ministero degli Esteri saudita ha inoltre riaffermato “il suo rifiuto categorico di qualsiasi attacco ai diritti del popolo palestinese, che sia attraverso la colonizzazione, l’annessione di territori palestinesi o il trasferimento forzato” della popolazione. Le trattative tra Israele e Arabia Saudita, incoraggiate anche dall’amministrazione Biden, erano a un punto avanzato quando furono interrotte dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e dalla dura reazione militare israeliana nella Striscia. Ora Trump preme per completare il percorso avviato durante il suo primo mandato che portò lo Stato ebraico a firmare gli storici Accordi di Abramo con Emirati arabi e Bahrein, ai quali aderirono successivamente anche Marocco e Sudan. Anche Riad appare interessata alla normalizzazione dei rapporti con Israele, in cambio di un patto di difesa con gli Stati Uniti e di aiuti americani per la realizzazione del suo piano nucleare a scopi civili. Ma il regno del giovane Mohammed bin Salman, desideroso di consolidare il proprio ruolo sulla scena internazionale (nonostante le ombre del caso Khashoggi, il giornalista ucciso nel consolato saudita di Istanbul nel 2018) deve fare i conti anche con gli alleati – e i nemici – regionali, senza dare l’impressione di poter sacrificare la causa palestinese sull’altare delle relazioni con gli Usa.

 

 

Il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier ha respinto la proposta di Donald Trump di deportare i palestinesi fuori dalla Striscia di Gaza. “Una soluzione che non tiene conto o addirittura viola il diritto internazionale è inaccettabile”, ha dichiarato Steinmeier ad Ankara, secondo quanto riferisce la Dpa. Non credeva che i colloqui previsti tra gli Stati arabi e la nuova amministrazione statunitense avrebbero avuto successo su questa base. Steinmeier aveva già tenuto colloqui in Arabia Saudita e Giordania. Sulla proposta di reinsediamento, “in altre parole, anche un’espulsione dei palestinesi dalla loro patria”, ha percepito solo “delusione, molta preoccupazione e in alcuni casi vero e proprio orrore”, ha detto in vista dei colloqui con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Il Presidente tedesco ha sottolineato che si può trovare una soluzione solo se si garantisce la sicurezza per Israele e l’autodeterminazione per i palestinesi. “Questo è un percorso difficile e forse anche più lungo. Ma temo che scorciatoie arbitrarie da questo percorso – anche ignorando il diritto internazionale e le sue regole – non porteranno all’obiettivo”.

 

E’ ”fantascienza” la visione del presidente americano Donald Trump per il futuro della Striscia di Gaza, ”non c’è un solo palestinese o arabo che possa accettare anche un solo punto dell’ipotesi che ha elaborato”. E se ”la sua realizzazione è molto limitata”, quello che ”in Israele preoccupa è l’impatto negativo che questo annuncio può avere sull’accordo sugli ostaggi”, ma anche sulle ”relazioni tra Israele e la Giordania, l’Egitto, l’Unione Europea, sul processo di normalizzazione con l’Arabia Saudita”. Lo spiega in un’intervista ad Adnkronos l’analista Michael Milshtein, direttore del Forum per gli studi palestinesi al Centro Moshe Dayan di Tel Aviv. ”Si può parlare di convincere i palestinesi a lasciare le zone completamente distrutte della Striscia di Gaza, ma non si riuscirà mai a convincerli a evacuare Gaza. E la questione ancora più complicata è che non sarà mai possibile convincere i Paesi arabi ad accoglierli”, ha spiegato. Nel frattempo ”in Israele abbiamo davvero tanta paura che tutta l’attenzione attorno all’annuncio di Trump possa avere un grave impatto negativo sull’accordo e sui negoziati sugli ostaggi e distogliere dalle sue priorità”. E ”non solo per quanto riguarda la seconda fase dell’accordo, ma anche per la prima”, afferma l’analista citando il rischio che ”le parole di Trump creino una crescente crisi tra i Paesi arabi e Washington e tra i palestinesi e Washington”. Secondo Milshtein, ”sabato prossimo, quando tre ostaggi dovrebbero essere rilasciati, sarà una sorta di test per vedere se l’accordo regge e continuerà’. Con uno sguardo all’impatto regionale del trasferimento di milioni di palestinesi da Gaza, l’analista israeliano ritiene che ”per la Giordania l’arrivo di diverse migliaia di palestinesi avrebbe conseguenze orribili, sarebbe la fine del Regno hashemita”. Dell’Egitto, Milshtein ha ricordato ”l’orgoglio nazionale, nessun leader egiziano sarà nemmeno disposto a discutere di una simile ipotesi” di ospitare sfollati palestinesi. Ma ”anche solo parlare dell’ipotesi illustrata da Trump rischia di causare danni e instabilità in Medio Oriente”. In particolare, Milshtein parla di ”danni nelle relazioni tra Washington e il mondo arabo. La prossima settimana re Abdullah di Giordania si recherà da Trump, poi sarà la volta (del presidente egiziano, ndr) al-Sisi. In questo momento le relazioni tra Giordania, Egitto e Stati Uniti sono molto tese. Sono abbastanza sicuro che anche con altri stati arabi, soprattutto con l’Arabia saudita, i rapporti si sono complicati a causa di questo annuncio” di Trump. ”Mi auguro veramente che il primo ministro Netanyahu non sostenga questa visione di Trump perché danneggerebbe le nostre relazioni con il mondo arabo”, afferma. In ogni caso, aggiunge, ”penso che la realizzazione effettiva di questa idea sia molto limitata, molto bassa”. Il vero obiettivo di Trump, secondo l’analista, potrebbe quindi essere quello di ”esercitare pressione, soprattutto su Hamas, per convincere l’organizzazione a mettere in atto la seconda fase dell’accordo” e per mettere in chiaro che ”nessuno deve ostacolare il processo di normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita a cui tiene molto”. Ma ”in questo momento la situazione è davvero poco chiara, io e tanti israeliani siamo pieni di dubbi”, ha concluso.

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