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La grazia e la gentilezza come “doni reciproci”. Diario di un’odissea

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Foto di Brett Jordan su Unsplash

In un mondo sempre più competitivo e aggressivo, coltivare uno stile di vita e un modo di relazionarsi con gli altri fondati, a tutti livelli, sulla gentilezza ha un’importanza fondamentale. La rinascita secondo Hanif Kureish: il libro “In frantumi” è un diario-testimonianza sulla forza e il senso della scrittura. Hanif Kureishi è nato a Londra da padre pakistano e madre inglese. È romanziere, drammaturgo, sceneggiatore (e per una volta anche regista: London kills me, 1991). Ha scritto le sceneggiature per film di Stephen Frears e Roger Mitchell. Il romanzo “Il Budda delle periferie” è divenuto uno sceneggiato televisivo per la Bbc. La sua ultima opera si intitola “In frantumi”, la narrazione della sua odissea. Il diario di un’esistenza in frantumi, scandita dalle cure e illuminata dalla presenza degli altri, la famiglia, gli amici vecchi e nuovi, i medici, gli infermieri, i compagni di malattia. Un’esistenza da abitare in un altro modo, da reinventare ogni giorno senza arrendersi. Perché “io non mi voglio lasciar andare: di tutto questo voglio fare qualcosa”. Spiega lo scrittore: “Viviamo in costante evoluzione. Il mio mondo ha preso male una curva mentre prima filava via dritto. Ma io non mi voglio lasciar andare: di tutto questo voglio fare qualcosa”, facendo seguito a una luminosa notazione: “Se si legge un dramma qualsiasi, ci si convince che il mondo è pieno di orrori, di matrimoni in crisi, di guerre. Ed è vero che io stesso sono il protagonista di una tragedia. Ma non è niente se si pensa alla mia storia nella sua interezza, che comprende capitoli di armonia, di gioia, e del piacere che si può trarre dalla compagnia reciproca. E’ incredibile quanto le persone vogliano darsi a vicenda, come possano essere altruiste. La grazia e la gentilezza per fortuna abbondano”.

Foto di Adam Nemeroff su Unsplash

Elogio della gentilezza

La gentilezza potrebbe essere vista come la capacità di “far star bene gli altri”. Oppure potrebbe essere interpretata come un modo per contribuire al benessere emotivo di chi ci circonda. O come il sorriso espresso a parole, o ancora come il saper comprendere e rispettare le esigenze altrui. Dopo un trauma grave, o un incidente come quello occorso a Hanif Kureishi, che un giorno ha avuto un malore e si è risvegliato tetraplegico a 70 anni, se si reagisce alle circostanze, per andare avanti, per sperare in un futuro bisogna recuperare le radici. Ne è testimonianza questo libro, sofferto ma senza mai piangersi addosso, che non cerca pietà ma vuole capire, al di là della insistente ma vana domanda, davanti a gambe e mani inerti, “Perché è accaduto proprio a me?'”. Ecco allora che, con tanto tempo immobile per pensare, inizia quasi da subito a dettare alla sua compagna (e più avanti anche al figlio al telefono a Londra) un diario che, dopo aver scritto in due pagine cosa gli è successo, parte dicendo: “Non sono stato un bambino felice, ma neanche infelice“. E parte da lì, dall’inizio per recuperare quel che è e che pare andato “in frantumi” e magari, ogni tanto, interrompe il discorso scusandosi per un intervento medico, perché non perde mai il suo sguardo ironico sulle cose, su di sé, sulle sue mani che “sotto le lenzuola non saprei nemmeno dirvi esattamente dove sono. Per quanto ne so potrebbero essere in un’altra casa, a bersi un aperitivo con gli amici“.

Foto di reneebigelow da Pixabay

Amore per la scrittura

Hanif Kureish recupera gli inizi e l’amore per la scrittura, ovviamente, torna sul rapporto col padre come in “Il mio orecchio sul suo cuore”, il quale avrebbe voluto diventare un romanziere e amava parlare della “tecnica della scrittura“. E in queste pagine ci sono tante notazioni personali sul tema che, tutte assieme, ne fanno quasi un manuale di scrittura. Quella scrittura che, quando era diventata la sua meta vitale, gli aveva dato un’identità e una forza interiore, ricorda. un po’ come ne ‘Il dono di Gabriel’. Certo i momenti di sconforto esistono: “Le mie difese – senso dell’umorismo e una passione per le battute – non riescono a farmi superare tutto questo … Provo la terribile sensazione, molto alla Edgar Allan Poe, di essere seppellito nel mio corpo”. Ma con la convinzione profonda, e quotidianamente dimostrata anche in questa occasione, che “nessuno può farmi rinunciare al mio desiderio di scrivere. E’ il fulcro della mia esistenza“. Un’esistenza, evidenzia l’Ansa, fatta di tanti libri, di incontri importanti, sviluppatasi nella Londra “arrabbiata” teatrale degli anni ’70, dove incontra Beckett, David Bowie e Rushdie, che diventa suo caro amico (e ora gli telefona spessissimo consigliandogli pazienza), e tanti altri personaggi che, anch’essi, rendono curiosa e non banale questa particolare autobiografia, dove tra l’altro riflette da par suo di analisi, Freud e Lacan, e in cui parla, come spesso ha fatto, apertamente di sesso e droghe. Detta, più o meno quotidianamente, insegue il filo dei pensieri (“Se non hai futuro, il passato viene a trovarti“) perché questo è l’unico modo, e quello che più gli appartiene, per affrontare la nuova situazione, che ha però risvolti e scoperte umane importanti, a cominciare dal rapporto con gli altri, ora che dagli altri dipende in tutto e per tutto, infermieri per primi e malati con cui si instaurano rapporti che una volta avrebbe ritenuto impensabili.

Foto di Mick Di Perretta: https://www.pexels.com/it-it/foto/mani-persone-squadra-insieme-18537006/

Nuovo senso

Nasce il piacere della conversazione e la curiosità di conoscere le vite altrui. Da quando si sente ‘”una tartaruga caduta sul dorso” è una nuova dimensione del mondo che gli si apre davanti e questo ricco, bel libro-testimonianza dimostra a lui stesso e a tutti che c’è un futuro e che è quello che lo lega al suo passato, appunto la scrittura. Questo oltre agli affetti, perché se ricorda le difficoltà e il disorientamento di quando divenne padre, oggi deve dare un nuovo senso al rapporto con la sua attuale compagna, ha riscoperto sotto nuova luce i figli e l’ex moglie, i tanti amici. Per i quali, col timore avvilente di far solo pena, si chiede: “Sono diventato una specie di prova d’amore? Verranno a trovarmi ancora o pensano di aver fatto il loro dovere?“.

Giacomo Galeazzi: