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Confsal, Margiotta: “Il governo? Indifferente fino a poco tempo fa”

Nella giornata dedicata ai lavoratori In Terris ha intervistato Raffaele Margiotta, segretario generale della Confsal. Che oggi nella centralissima Piazza Plebiscito, a Napoli, ha organizzato un evento per rimettere al centro del dibattito politico, il lavoro. Tra i partecipanti è prevista la presenza di “alcuni disoccupati di Scampia che alzeranno la voce per farsi sentire fin dentro ai palazzi romani”.

Il segretario generale della Confsal, Raffaele MargiottaRaffaele Margiotta, il tasso di disoccupazione è uno storico problema italiano. Secondo gli ultimi dati quello del Meridione è al 18,4%, tre volte superiore a quello del Nord. Cosa c’è dietro questi numeri?
“E’ giusto analizzare il rapporto fra Sud e Nord perché è uno dei primi indicatori che mostra il grande squilibrio presente in Italia: un’area enorme del Paese è in una situazione di forte arretramento. Questo dato però diventa ancora più preoccupante se noi lo rapportiamo a quello di 10 anni fa. Infatti nell’ultimo decennio siamo passati da un tasso di disoccupazione del 6% al 10,2% attuale. Poi è vero che nel punto peggiore della crisi economica ha raggiunto anche il 12-13%. Un trend che coincide perfettamente con l’indicatore “principe”: le ore lavorate. Nel 2009 erano quasi 46 miliardi, per la precisione 45 e 800 mila; oggi sono 43 miliardi e mezzo. Quindi accusiamo una perdita di circa 2 miliardi e 100 milioni, che corrispondono a 1 milione di posti di lavoro in meno. E il 95% di questi impieghi li ha persi il Mezzogiorno”.

In che modo si può porre un freno a questa situazione?
“La prima ricetta è quella di riportare la parola lavoro al centro dei provvedimenti del governo. Ogni azione di qualsiasi esecutivo dovrebbe partire da questa parola chiave. Che cosa bisogna fare? Servono politiche occupazionali mirate”.

Come valuta il reddito di cittadinanza? E’ una misura che produrrà effetti positivi?
“Ci sono due piani di azione in questo provvedimento: da una parte il welfare sociale per alleviare le condizioni di disagio e povertà di tante persone. Non essendoci, però, il coraggio di fare solo welfare sociale il governo ha puntato anche a dare nuove occupazioni. Ma per creare lavoro le ricette sono diverse. Nel mondo attuale l’occupazione si basa sullo sviluppo del tessuto produttivo e sulla crescita economica. In questa direzione abbiamo fatto poco. Se lei osserva l’ultimo decreto crescita, nel primo anno del piano, c’è un investimento inferiore ai 100 milioni di euro. Nel triennio si parla di 1 miliardo e mezzo quindi l’uno per mille del Pil. E così non possiamo ottenere crescita. La soluzione sarebbe destinare ingenti risorse, anche quelle a debito, allo sviluppo. Bisogna rendere strutturali alcuni incentivi affinché ci possa essere una ripresa economica e fare un grande piano sulla formazione”.

A riguardo ha qualche idea?
“Presenteremo un nostro progetto chiamato “Fabbrica delle competenze”, nel quale partendo dal fabbisogno delle aziende vengono cerate scuole tecniche di specializzazione che offrono alle persone competenze specifiche per svolgere determinati processi produttivi. D’altronde per favorire lo sviluppo servono risorse e capitale umano. E le risorse dovrebbero essere garantite dalla politica dei fondi”.

I sindacati nella storia del Paese hanno avuto un ruolo determinante. E’ ancora così o vi sentite messi da parte?
“Ci sentiamo in grado di dare un forte contributo perché la nostra missione è proprio quella di dare lavoro a chi lo cerca, sappiamo proporre soluzioni valide. Da un po’ di tempo a questa parte c’è una sottovalutazione intenzionale delle parti sociali, dei cosiddetti corpi intermedi. Le forze politiche hanno la tendenza a rapportarsi direttamente con i propri elettori; curano la comunicazione e la raccolta del consenso. Ad eccezione delle ultime settimane anche questo governo era indifferente ai sindacati. Le racconto un aneddoto?”.

Prego.
“Quando siamo stati chiamati dalla Presidenza del Consiglio ero preoccupato. Perché Conte ha detto: “Questo è il primo incontro con i sindacati”, quindi ho replicato: “Speriamo che non sia come la Messa di Natale che viene celebrata una volta l’anno”. Poi, invece, quando ci ha convocato Di Maio tutti lo hanno ringraziato mentre io gli ho detto: “Ministro mi dispiace ma non la posso ringraziare, questo incontro arriva troppo tardi. La ringrazierò in futuro se avremo un confronto continuo”. Devo dire che adesso la collaborazione si comincia a vedere. Hanno capito che i provvedimenti legislativi fatti senza la consultazione dei sindacati sono inutili”.

A luglio Confsal festeggerà i suoi primi 40 anni. Bilancio e i programmi per il futuro?  
“Anzitutto vogliamo definire bene la nostra identità. Dobbiamo avere un’identità precisa, di chi ambisce a svolgere un ruolo importante. La maturità dei nostri 40 anni si misura con l’iniziativa che abbiamo lanciato all’ultimo Congresso: la proposta di un patto sociale, una chiamata a raccolta di tutti gli attori del sistema Paese, nel quale noi ci proponiamo come un sindacato professionale, e non ideologico e conflittuale. Vogliamo anche professionalizzare tutti i nostri rappresentanti, ribadendo le linee guida della Confsal. Che è impegnata nella costruzione di una società basata su legalità, sicurezza, ma anche solidale. Il sindacato come luogo di impegno, dove si coniugano sia i principi della cultura laica illuminata, sia agli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa cattolica”.

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