Costruire castelli in aria è sinonimo di fare cose prive di solide basi e perciò destinate a non durare. Fare progetti molto ambiziosi ma irrealizzabili, puramente immaginari, e quindi visibili solo nell’aria come i miraggi. Anche illudersi, seguendo le proprie fantasie. Una testimonianza dimostra che ciò non sempre è vero. E che in aria si può edificare il proprio destino. Nato in Francia, Philippe Petit ha scoperto la magia e la prestidigitazione quando era ancora un bambino e ha mosso i primi passi sul filo a sedici anni. Autodidatta, si è fatto espellere da cinque scuole. Ha imparato a cavalcare, a tirare di scherma, ad arrampicarsi, a disegnare. Si intende anche di falegnameria (ha costruito, tutto da solo, un granaio sulle Catskill Mountains utilizzando la tecnica e gli attrezzi dei carpentieri del Diciottesimo secolo) e ha studiato persino l’arte della tauromachia. È sui marciapiedi di Parigi che è diventato un artista di strada. Dando vita a quel personaggio folle, brillante e silenzioso con cui ancora oggi intrattiene il suo pubblico. Da oltre trent’anni ormai vive a New York ed è Artist-in-Residence presso la cattedrale di Saint John the Divine, la più grande chiesa gotica del mondo. La sua decennale attività di funambolo conta oltre ottanta esibizioni in tutto il mondo. Tra cui la più celebre, al centro di un libro “Toccare le nuvole” che ha ispirato un documentario (Man on Wire per la regia di James March), è stata quella tra le Torri gemelle del World Trade Center nel 1974. E’ uscita la nuova edizione del suo saggio-cult, “Trattato di funambolismo”.
In aria
I sogni e i desideri di un ragazzino che vuole muoversi come le nuvole, che scopre quel cerchio magico dove non bisogna chiedere il permesso di essere ciò che si è, uno spirito liberissimo che ha una pessima relazione con la scuola e il resto della società. Mauro Garofalo, scrittore di romanzi per adulti e ragazzi, specializzato in reportage ambientali, immagina la vita di Philippe Petit, il funambolo francese che 50 anni fa, il 7 agosto 1974, ha compiuto la traversata, senza protezione, tra le Torri Gemelle di New York, avanti e indietro per otto volte, sospeso a 400 metri di altezza. Lo fa nel romanzo “Il mago dell’aria” pubblicato da Mondadori, che è un racconto fantastico, una biografia immaginaria, un libro di avventura e una storia di formazione in cui possiamo riconoscere tutti quell’impulso a conquistare la vita. “Del resto non siamo stati tutti bambini con, in mente, un sogno più grande di noi e, per tutta la vita, non facciamo altro che provare a realizzarlo, almeno un attimo prima del grande salto?” dice l’autore. “Avrei imparato a camminare in cielo, come un vero mago dell’aria” afferma il Philippe Petit di Garofalo che ha una madre perduta nella depressione, una presenza assente che il figlio vorrebbe in qualche modo salvare. “Se fossi diventato un mago avrei potuto far nascere un arcobaleno tutto per lei” fantastica Philippe.
Funambolo
Suo padre invece è un militare tutto d’un pezzo. Ma sarà lui a regalare inaspettatamente al figlio un libro di magia con la scatola dei trucchi che nella sua testa gli “avrebbe insegnato che la vita non era un gioco, e basta. Non aveva capito che le nemesi nascono così“. A neppure otto anni il futuro funambolo impara i trucchi con le carte, le fa scomparire e riapparire e conquista con i suoi incantesimi i compagni di classe e una ragazzina. Philippe passa tutto il tempo a dedicarsi ai giochi di prestigio, sperimenta poi l’equitazione. Ed è bravo ad andare sul suo cavallo per il quale sceglie il nome Rapa Nui, impara a usare l’arco e riesce a finire le elementari con voti buoni, ma si sente sempre chiuso e costretto. E la sua aspirazione a camminare nel cielo è sempre più forte. A dodici anni si chiede: “Per uscire dall’anonimato delle nostre esistenze normali, cosa bisogna fare?” finché nella zona dei calanchi sopra Nemours, Philippe incontra quello che sarebbe diventato il suo maestro, Rudy, un funambolo che parla in modo strano, con uno spiccato accento dell’Est, che gli insegna che la fune tesa fra gli alberi non è altro che un prolungamento dei suoi passi. Gli allenamenti con la fune, gli acrobati, la stagione dei viaggi con il circo che lo portano lontano da Annie, il primo amore, la consapevolezza a 16 anni di aver imparato “più cose dalla corda che dietro ai banchi di scuola” sono i passi che lo portano a raggiungere “la sinfonia della vita che si espande“.
Nel cielo
In questo percorso, ricostruito dall‘Ansa, a 24 anni Philippe impara a camminare in cielo. Sono le domande di un bambino e ragazzino a far toccare la purezza, la poesia e l’energia di una crescita fuori dagli schemi che però ci riguarda. Le note sulle quali vibra il vostro corpo, per esempio, le conoscete? O su quale corda camminereste la vostra musica? Anche Garofalo è partito da una domanda per immaginare l’infanzia dell’artista in questo libro che si chiude con “1974 World Trade Center”. Voleva “sapere chi fosse stato quel ragazzino, conoscerlo”. E per questo durante la stesura del libro è andato a Nemours. A trovare i luoghi e i colori dell’infanzia del suo Petit, ha fatto riferimento ad alcune delle più celebri interviste all’artista e ad alcune opere letterarie tra cui “Mr Vertigo” di Paul Auster. “Il personaggio di Philippe Petit di cui ho scritto non è il ‘vero’ Philippe Petit. Ugualmente questo romanzo ha la pretesa e l’ardire di volerne vanificare il doppio” dice l’autore.