I ricercatori dell’università della Sapienza e del Policlinico Umberto I di Roma, guidati da Marianna Nuti, hanno scoperto uno dei fattori che può rendere meno efficace l’immunoterapia per il tumore al polmone. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista EBioMedicine.
Cosa è stato scoperto
Secondo quanto scoperto dai ricercatori, si tratta di un autoanticorpo la cui presenza è una possibile spia di resistenza all’immunoterapia in questi pazienti. L’immunoterapia funziona potenziando il sistema immunitario del malato in modo da renderlo capace di fargli riconoscere e annientare le cellule tumorali.
Ma se il sistema immunitario ha un “difetto”, potrebbe scattare un meccanismo di resistenza all’immunoterapia, compromettendone l’efficacia. La presenza di autoanticorpi può quindi essere una spia di allarme, un indicatore di un sistema immunitario che non funziona come dovrebbe. Identificare biomarcatori di questo sistema può quindi aiutare a scegliere la terapia più adatta al singolo paziente.
Cosa è stato fatto
Questo l’approccio seguito dai ricercatori italiani che hanno osservato, nei malati con tumore al polmone in trattamento con immunoterapia, un autoanticorpo come strumento per prevedere la progressione rapida della malattia. Hanno così visto che la presenza dell’autoanticorpo IgM-FR (fattore reumatoide di classe IgM) è associata in questi malati ad una riduzione di un particolare gruppo di cellule immunitarie, i linfociti T antitumorali CD137+, uno dei bersagli dell’immunoterapia. Ciò significa che la loro riduzione potrebbe rendere meno efficace la terapia e far progredire più rapidamente la malattia. Molti malati con tumore del polmone non a piccole cellule mostrano infatti resistenza all’immunoterapia, che risulta così meno efficace.