L’editoriale di Marco Frittella, apparso martedì su questo giornale, è un’invocazione, lucida ed accorata, ad uscire dal guado in cui il Paese è fermo da quel lontano 1947 del monito di De Gasperi, ancora memore della guerra civile che divise l’Italia dal 1943: una parte cospicua d’italiani non accettò la decisione che portò all’armistizio e tentò di rifondare lo stato, contrastata dai partigiani della resistenza. Sono valori oramai acquisiti: la guerra era sbagliata e fu persa, la resistenza ne travalicò i limiti disonorando chi non la condivise, i tedeschi si trasformarono da alleati in occupatori. Sono fatti accaduti 75 anni fa e chi oggi vive ne ha un ricordo infantile e meno che adolescenziale.
Però la linea di netta demarcazione è rimasta intatta: una linea Gustav, da geografica che fu, è divenuta sentimentale, ed ancora oggi tenta di impedire il dialogo per la radicalizzazione delle posizioni: eppure, benché il fascismo sia durato venti anni e sia finito ingloriosamente, ancora viene rievocato ed ancora viene combattuto da un antifascismo che dura da ottant’anni: incomprensibile, se non a prezzo di dietrologie.
Se nella prima Repubblica la divisione fu marcata dal cosiddetto arco costituzionale che escludeva la destra, con la seconda Repubblica e lo sdoganamento degli eredi, su cui non doveva ricadere la colpa dei padri, lo scontro si è massimizzato attraverso il bipolarismo: una valida soluzione di confronto per i popoli stranieri abituati a democrazie più efficienti ma una iattura per il popolo italiano che doveva invece superare la contrapposizione; tanti in quegli anni hanno ambito ad un governo condiviso eliminando le frange estreme, soluzione ineccepibile sia democraticamente, poiché porta al governo la gran parte del Paese escludendo solo le ridotte minoranze estreme, sia ragionevolmente, poiché si governa efficacemente solo col consenso della grande maggioranza della popolazione e non con uno scarto da gara sportiva, che tiene fuori la metà del paese (senza contare gli astenuti).
E tant’è che la legge elettorale tenta di ovviare allo scarto minimo attribuendo il premio di maggioranza, un’assurdità da fiera della befana priva di qualunque serio riferimento alle proporzioni espresse dalla popolazione: eppure sarebbe semplice imporre – come in tutte le votazioni significative – una maggioranza qualificata, sia alla partecipazione sia alla elezione e certo il paese non sarebbe più bloccato di ora.
Sono soluzioni semplici ed efficaci ma chi le dovrebbe adottare non è imparziale: tenta ogni volta di scriversi le regole a proprio uso e consumo e non se ne uscirà finché non si avrà il coraggio di escludere dal gioco chi ne stabilisce le regole. Nostalgie di Democrazia Cristiana? Per la verità le hanno i più accesi comunisti come gli irriducibili nostalgici!
No, occorre andare ancora avanti; superare le divisioni e consegnare alla storia il passato: in Russia conservano effigi e monumenti della passata dittatura non certo per invocarne il culto ma perché appartiene, comunque, alla loro storia, senza la quale non si fanno i conti, almeno da Benedetto Croce in poi. In Italia no; un accanimento per cancellare un pezzo di storia recente che ha finito per alimentare la sua rievocazione; è ben tempo di storicizzare quel periodo che certamente la storia ha condannato almeno per tre ragioni ineludibili: l’istituzione della violenza, le leggi razziali e la guerra. Ciò detto in quanto concordemente riconosciuto dagli studiosi, se ne può analizzare il trascorso senza timore di rigurgito, consegnandolo alla storia e guardando avanti. Certo, non ci saranno più partigiani ed antifascisti se non per le celebrazioni del ricordo ancora utili, ma non ci saranno più neanche coloro che ne vogliono imporre a tutti i costi la rivalutazione: archiviamo, serenamente e produttivamente, con reciproco rispetto in nome dell’Italia.
Se questo sforzo riuscirà – e le nuove generazioni da tempo affacciate alla gestione del potere lo hanno già superato – potranno proporsi le indispensabili regole nuove e condivise su cui rifondare lo stato, memori degli errori anche del recente passato: rafforziamo la divisione effettiva dei poteri, scegliamo regole chiare e condivise per le elezioni, non solo dei rappresentanti ma anche delle cariche pubbliche per scongiurare il deprimente mercato delle poltrone, eliminiamo la legislazione delegata ed il voto di fiducia che espropria il parlamento delle sue funzioni primarie, imponiamo un presidente della repubblica al di sopra delle parti ed eletto da larga maggioranza, aboliamo il pubblico ministero ripartendone le funzioni tra organi di polizia e avvocatura dello stato magari eleggendo un coordinatore politico, semplifichiamo i regolamenti parlamentari a beneficio della discussione effettiva sugli aspetti salienti della vita pubblica, superiamo il bicameralismo perfetto introducendo un senato più ponderato per rappresentanza e materie. Vinceremo le divisioni e ci presenteremo uniti, unico punto di demerito che abbiamo con gli altri paesi.