Due anni fa, con quella solennità di cui solo gli inglesi sono capaci tra i popoli europei che pur hanno avuto altrettanta storia, una cornamusa suonava mentre la lapide calava sulla fossa di Elisabetta, signora delle Isole Britanniche. E, con essa, calava – si pensava – anche il sipario su una dinastia regnante tra le meno antiche del Continente, seppur la più popolare. Troppo insipido il nuovo Re, troppo divisa la casata. Troppo debordante il primo ministro, chiunque egli o ella fosse. Troppo fieri ai limiti dell’arroganza i suoi sudditi, tanto da voltar le spalle agli altri popoli europei: saranno stati sì fratelli coltelli in passato, ma ora erano disposti e condividere tutto, dal pesce agli anni accademici dei giovani più intraprendenti. Financo una finale degli Europei regalata in semifinale, e giocata a Wembley.
Di tutte queste fosche considerazioni solo una si è dimostrata ben fondata, e per fortuna è stata l’ultima: Carlo si è mostrato essere all’altezza del ruolo, capace cioè di farsi sentire senza parlare; il casato regge nonostante un fratello invischiato in losche vicende (Andrea) ed un altro (Harry) che vorrebbe rientrare dopo aver fatto di tutto per trasformare Buckingham Palace nella Casa di Usher; il primo ministro, una volta debordante e gigionesco, oggi assomiglia più che altro ad un professore di liceo e cerca di raccogliere i cocci lasciati dai predecessori. A Wembley, in finale, vinsero gli altri. Albione, sei tornata a somigliare a quello che eri quando lei, Elisabetta, aveva trent’anni e nella discrezione gestiva la fine dell’Impero.
Purtroppo, ormai anziana, non le riuscì invece di gestire il suicidio della Gran Bretagna; in compenso le era rimasta la discrezione: dote regale quant’altre mai che la spinse, dopo l’infausto referendum sulla Brexit, a parlare in pubblico indossando un cappellino che richiamava la bandiera dell’odiata Unione cui i tanti Boris Johnson che assiepano i tavoli dei pub inglesi avevano mostrato, gagliardamente e volgarmente, la parte meno nobile di Albione. Popolo, rispetto cosa hai fatto, ma quel che hai fatto è un’autentica stupidaggine.
Fu quella la sua vera eredità politica, l’indicare cioè che il futuro non avrebbe potuto prescindere dal ritorno sui vecchi sentieri. Solo una donna delle sue vedute e della sua storia poteva mostrare tanta lucidità nel guardare al domani. Del resto lei stessa, in quell’Europa continentale che non molti anni prima era stata a lei ed a suo padre mortale nemica, aveva le sue radici, essendo sì una Windsor, ma essendo i Windsor a loro volta dei Sassonia-Coburgo-Gotha ed i Mountbatten dei Battenberg. Cuore e testa a Londra, radici nel centro dell’Europa, fin dai tempi di quella Guerra dei Trent’anni che polverizzò la Germania condannandola per secoli all’irrilevanza. Divisi e isolati si fa una brutta fine: Elisabetta la sassone lo sapeva bene, e cercò di evitarlo con tutte le sue forze, pur sapendo che la monarchia britannica, dal punto di vista del potere, non è di forte Costituzione. Se le avessero dato ascolto, magari, Starmer adesso non si troverebbe a dover fare l’equilibrista per cercare di riavvicinarsi a Bruxelles senza perdere la faccia, ed i milioni di elettori britannici a dover fare i conti con i dati spaventosi dell’economia. Ma quel che è stato è stato, ed è il caso di guardare al futuro. Ricordando però che qualcuno ce l’aveva detto, anche se solo vestendo un cappello.
Un cappello che ci è tornato in mente quando, l’altro giorno, ci è capitato di leggere di una politica tedesca vestita come la Signorina Rottenmeier di Heidi, una signora tronfia di un successo in un Land tedesco (meno del 6 percento della popolazione nazionale) che dava ultimatum a Bruxelles. Pure lei. Diceva, la signora, che la Germania dovrebbe uscire dall’Unione Europea perché tanto “non è la Germania che ha bisogno dell’Europa, ma l’Europa della Germania”. Il che poi è esattamente quello che dicevano Boris Johnson e Nigel Farage ai tempi della Brexit.
Allora ci sono tornati in mente quel cappello, quella discrezione regale e quella signora di Sassonia e Coburgo e Gotha che, senza alzare la voce, diceva al suo popolo una profonda verità. E, nel pensarci, non abbiamo potuto provare, insieme al rispetto, anche un filo di nostalgia.