Opinione

Dal vento conciliare all’invasione dell’Ucraina: la lezione della storia

E’ sempre utile ripensare a com’era la Chiesa cattolica prima del Concilio. Una Chiesa con una struttura quasi monarchica. Fondamentalmente clericale. Dominata, teologicamente e pastoralmente, dall’Europa. La Bibbia ancora tabù per il popolo cristiano. La Messa ancora solo in latino, e con il celebrante che voltava le spalle all’assemblea. Una religiosità ridotta ai precetti, alle regole, a una morale inquisitoria e per niente misericordiosa. Una netta chiusura alle altre Chiese, alle altre religioni. Un atteggiamento ancora improntato all’ostilità, se non alla condanna, nei confronti del mondo, della scienza, della cultura moderna. Ebbene, dopo il Vaticano II, niente di tutto questo restò come prima. E non perché fosse stata stravolta la Tradizione o messi da parte i dogmi, le leggi; ma perché i padri conciliari avevano saputo leggere il Vangelo e la storia umana con occhi nuovi: un Vangelo naturalmente immutabile, intoccabile, ma da annunciare con un linguaggio adatto agli uomini contemporanei.

Come ripeteva sempre Giovanni XXIII: “Non è il Vangelo che cambia, ma siamo noi che cambiamo e quindi siamo in grado di comprendere il Vangelo meglio e più a fondo di prima”. Cambiò l’immagine stessa di Chiesa, che la costituzione dottrinale “Lumen gentium” presentava ora come “sacramento universale di salvezza. Il popolo di Dio messo prima della gerarchia. L’autorità pontificia affiancata dal collegio episcopale. La parola di Dio ritrovò la sua centralità nella vita ecclesiale. Ci fu la riforma liturgica. Venne riconosciuto il ruolo attivo dei laici, rivalutata la libertà di coscienza, cancellata la bimillenaria accusa di deicidio al popolo ebraico. E non solo questo, ma dallo “spirito” conciliare scaturiranno poi una lunga serie di novità. Come, per dirne una, l’esplosione dei nuovi movimenti laicali, e che, per certi aspetti, ricordava la sconvolgente apparizione degli ordini religiosi mendicanti, domenicani e francescani, agli inizi del XIII secolo. Il Vaticano II, così, rivelò una Chiesa diversa da com’era stata fino ad allora guardata, giudicata. E diversa, specialmente, per come adesso intendeva essere presente sui molteplici fronti dell’umanità: la famiglia, il lavoro, la giustizia, la scienza, la guerra e la pace. Era la nuova Chiesa plasmata dall’altra grande costituzione, la “Gaudium et spes”.

Quella che, già nel suo esordio, esprimeva il mutamento radicale operato dalla Chiesa nel suo rapporto con il mondo. “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore…”. Di fatto, la Chiesa non solo dichiarava di non avere il monopolio assoluto di ciò che è umano, ma riconosceva addirittura di avere qualcosa da apprendere dai progressi dell’umanità. E soltanto più tardi si capì l’importanza fondamentale di questo cambio di rotta. Lo si capì scoprendo che il Vaticano II aveva preparato la Chiesa ad affrontare, pur senza averle potute oggettivamente prevedere, le grandi sfide e le grandi emergenze nel passaggio tra il XX e il XXI secolo.

Fu un vertiginoso susseguirsi di sconvolgimenti politici, sociali, culturali, morali. Dalla crisi dei missili a Cuba, dagli sviluppi della scienza e della tecnica, alla rivoluzione giovanile, all’autodeterminazione dei popoli africani. Dalla globalizzazione, che ha sconvolto tutto, alla metamorfosi antropologica, che ha mutato la concezione stessa dell’esistenza umana. La fine delle ideologie. Muri crollati e altri che venivano alzati. Nuove guerre, un nuovo terrorismo, un nuovo interminabile flusso migratorio. L’attentato alle Torri Gemelle, il conflitto in Iraq, le rivolte nel mondo arabo. Fino alla tragedia planetaria, il coronavirus. E, arrivando ai nostri giorni, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin.

Gianfranco Svidercoschi

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