Torna prepotentemente alla ribalta l’annoso dibattito sull’utero in affitto, tra favorevoli e contrari a tale metodica di procreazione. Tale tematica delicata e complessa sembra meritevole di alcune considerazioni e puntualizzazioni interessando due aspetti: Giuridico ed Etico. In Italia le richieste di maternità surrogata attualmente sono di circa 250 l’anno con prevalenza della popolazione eterosessuale (90%) rispetto a quella omogenitoriale. Questo dato potrebbe far pensare che, come più volte rivendicato dal popolo LGTB+, tale pratica procreativa sia usufruita in minima parte dalla popolazione omosessuale, rispetto a quella eterosessuale.
A ben vedere e leggendo attentamente i dati del 2021, ci si accorge che la situazione in verità è ben diversa. Se è vero infatti che su 250 richieste di maternità surrogata solo il 10% (25) sono da parte della comunità omosessuale e il 90% (225) da parte di quella eterosessuale, è altrettanto vero che il numero delle richieste 25, relative a 2.148 unioni civili tra lo stesso sesso in percentuale (1,163 %), sono maggiori di quelle 225 riferibili ai 180.500 matrimoni eterosessuali (0,124%). Da questi dati si evince pertanto che in realtà le richieste di maternità surrogata da parte delle coppie omogenitoriali, sono di fatto nove volte superiori a quelle dei matrimoni eterosessuali.
Dal lato prettamente giuridico, relativamente alla maternità surrogata, bisogna considerare che i soggetti coinvolti in tale pratica sono due genitori, committenti, e due soggetti fragili: la gestante, che mette a disposizione il proprio utero a mo’ di contenitore e il neonato che ha “diritto” ad avere un padre e una madre che, oltreché sociali, siano anche biologici e gestazionali.
Molti degli articoli contenuti in origine nella legge 40 sulla PMA del 2004 sono stati poi cancellati da varie sentenze della Corte di Cassazione: relativamente al numero (3) degli embrioni da trasferire in utero, al divieto di crioconservazione degli stessi, al divieto di fecondazione eterologa, per citarne alcuni. Nella fattispecie, l’articolo 12 della legge recita: “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600 mila a un milione di euro“. La legge dunque è chiara e non lascia spazio ad interpretazioni, vietando ogni forma di surrogazione di maternità.
Questa disposizione legislativa è stata in realtà, di fatto, bypassata da molte coppie etero o omosessuali attraverso una maternità surrogata commissionata all’estero, per poi trascrivere il nuovo nato all’anagrafe del comune di residenza. Tale pratica è stata però recentemente resa illegale dalla Corte Suprema di Cassazione Sezioni Unite civili che, con sentenza n. 38162 del 30 dicembre 2022, ha stabilito che “I bambini nati all’estero attraverso il ricorso alla maternità surrogata dovranno essere riconosciuti tramite l’adozione, in casi speciali, poiché non è automaticamente trascrivibile il loro atto di nascita estero”
A tale proposito e in linea con la Corte Suprema si è espresso anche il Ministero dell’Interno con Circolare DAIT n. 3/2023 indirizzata ai Prefetti, dove riprende e ribadisce tali direttive, così come stabilito anche da una recente sentenza della Corte Europea che ha dichiarato inammissibile la richiesta, avanzata da alcune coppie ricorrenti, di condannare l’Italia perché non permette di trascrivere all’anagrafe gli atti di nascita legalmente riconosciuti all’estero.
La problematica etica nasce, negli ultimi decenni, dall’errata interpretazione che ha visto confondere il desiderio, seppur legittimo, con il diritto ad avere un figlio. Da questo assunto sono nate nuove metodiche riproduttive che spesso, in termini etici, hanno calpestato la naturalezza della procreazione e della gestazione. Ci riferiamo in particolare al così detto utero in affitto il cui termine, per attenuarne l’impatto semantico, si è cercato di edulcorare con quello di maternità surrogata o di gestazione per altri (GPA) cosicché in qualche modo se ne possa nascondere la triste realtà. Con questa procedura si assiste di fatto ad un doppio attentato alla dignità umana, con la Cosificazione del corpo femminile e con la Condanna dei bambini ad avere più genitori, non sempre coincidendo i genitori sociali (committenti) con i biologici e gestazionali, non considerando inoltre che nella gravidanza commissiva non viene rispettato il precipuo interesse del bambino.
Si tratta di fatto di avere in prestito, per il periodo gestazionale, l’utero di una donatrice per impiantarvi un embrione confezionato con gameti esterni o di un soggetto della coppia committente, poco importa se etero o omosessuale. In altre parole il neonato può avere, nella migliore dell’ipotesi, tre genitori due sociali committenti, che potrebbero essere anche biologici (fornitori di gameti), e una mamma gestazionale; ma potrebbe arrivare ad averne anche quattro in caso di donatore esterno nelle coppie omogenitoriali (dello stesso sesso).
Come in ogni contratto, si stabilisce un pactum tra due parti contraenti in cui, secondo un prezzo stabilito, una è la parte committente e l’altra la ricevente, ciò in nome di un sostegno alla coppia che deve essere padrona, comunque e ad ogni costo, del diritto ad avere un figlio.
Su questa linea di pensiero del resto era anche l’illustre clinico Prof. Umberto Veronesi quando affermava che : La maternità surrogata può essere un’occasione per le donne non abbienti per migliorare sensibilmente il proprio tenore di vita, per aiutare i figli a pagarsi gli studi” e proseguiva: “In una società in cui il minatore affitta i suoi muscoli alla compagnia mineraria, e in cui l’ingegnere affitta il suo cervello all’impresa edilizia, la domanda è: davvero è così inaccettabile affittare l’utero?”.
Si rimane perplessi riguardo a tali affermazioni e sconcertati davanti alla mercificazione di valori che non possono essere considerati semplicemente come confessionali, ma piuttosto come valori etici universali ed appartenenti in toto al mondo femminile. Il rendere una donna come puro corpo mercificato per ottenere un vantaggio economico non la discosta molto infatti dal renderla “strumento di desideri” certamente non condivisibili.
Poco importa infatti se, a fronte di cifre che negli Stati Uniti possono arrivare anche oltre centomila dollari, le gestanti siano giovani donne che sono costrette a mercificare il proprio corpo non potendo poi accampare alla nascita alcun diritto o ripensamento sul bambino, che comunque per nove mesi hanno portato nel loro grembo.
Solitamente siamo portati a credere che il forte legame tra madre e figlio abbia solo a che vedere con una spinta istintuale della prima verso il secondo. Ora, però, la scienza ci racconta qualcosa di molto diverso. Essa infatti ci spiega che all’origine di tale attaccamento vi è uno scambio cellulare bidirezionale di cellule dalla madre al feto (microchimerismo materno) e dal feto verso la madre (microchimerismo fetale). Tale scambio determina veri e propri mutamenti in diversi organi e, in particolare, nel cervello della gestante. Il feto inizia molto presto infatti ad inviare messaggi biologici alla sua mamma, addirittura a livello embrionale, e continua a farlo per tutto il corso della gravidanza.
Questi messaggi modificano le reazioni cerebrali materne inducendo un attaccamento che non è più solo istintuale, ma anche biologico e va a rafforzare questo legame che dovrebbe esser indissolubile, ma che diviene atrocemente divisibile quando il bimbo viene strappato alla mamma gestazionale dopo nove mesi di questo rapporto di interscambio.
L’utero in affitto rappresenta pertanto quanto di più triste ed avvilente per una donna la quale in alcuni casi per sopravvivere, in una sorta di schiavitù, è costretta suo malgrado a sottoporsi ad un “canone” si remunerativo ma altrettanto terribilmente umiliante per il genere femminile.