Ho letto con stupore e rammarico sulla stampa di un documento scritto da 62 tra sacerdoti e teologi su una presunta accusa di propagazione di eresie da parte del Santo Padre. Il fatto mi ha riportato alla mente a periodi e ricordi della mia vita di ragazzo.
Ho frequentato il Liceo classico in un seminario e ricordo che in una discussione un mio compagno di banco (oggi stimato sacerdote) ebbe a criticare la figura del Santo Padre. Ne rimasi scandalizzato e, fatto inimmaginabile per quei tempi, in un seminario, mi alzai dalla sedia e gli diedi un sonoro ceffone. Vi fu un attimo di silenzio e poi una corale ovazione, in particolare da parte di un gruppo di seminaristi spagnoli, che, uno ad uno, vennero a congratularsi con me, per aver difeso il Papa.
Indegnamente, perché il mio amico contestatore fu poi consacrato sacerdote, mentre io me ne andai per la mia strada l’anno dopo. Ora leggo che Papa Francesco torna nel mirino dei tradizionalisti che cercano di metterlo all’angolo sulla dottrina. Credo si possa solo immaginare la sofferenza di un Padre accusato dai figli di troppo amore.
L’eresia di Francesco è l’amore, senza se e senza ma. E’ la misericordia di un Padre che perdona tutto. Mi chiedo perché questi teologi non si siedono sulla riva del mare o sulla sommità di un monte e non si mettono a rileggere il Vangelo che è la parola di Gesù, il Figlio di Dio, nato in una grotta, che ha voluto assumere la nostra stessa carne di uomini e che è morto nella sofferenza, gridando al Padre di perdonare chi lo stava uccidendo.
Papa Francesco accoglie in chiesa le coppie divorziate, ma Cristo non ha annoverato tra le persone più care i peccatori e le prostitute? E noi cosa siamo se non peccatori, noi che bestemmiamo il nome di Dio, siamo disposti a tradirlo per potere, denaro, successo?
Papa Francesco apre il Vangelo a tutti, porta la buona novella in tutte le case, dei ricchi e dei poveri, ci fa sentire tutti amati e redenti dai nostri peccati da un Padre buono.
Dio ci perdona anche se abbiamo commesso i crimini più gravi. A Lui basta un atto di pentimento, come il buon ladrone. Non ha una calcolatrice, il Signore, che segna le ore di lavoro. Ci paga con il suo amore sia il lavoro di un’ora che quello di otto ore, e noi, che ci consideriamo i privilegiati del suo amore perché siamo membra della sua Chiesa, possiamo permetterci di mettere “in stato di accusa” il Custode di questa Chiesa?
Chi sono io per giudicare? Forse questi teologi hanno letto troppi testi di diritto canonico, dovrebbero togliersi le vesti ed il colletto inamidato che indossano per guardare in mezzo ai banchi di una chiesa, una donna abbassare la testa al momento della Comunione ed accarezzare la mano del compagno malato, con quella tenerezza che solo l’amore puro può dare. Questo nostro Papa venuto da lontano ha le scarpe larghe e abiti non curati, ma ha un grande cuore, il cuore di Dio.
Reverendi padri, non spezzate quel cuore. Riflettete. “Ut unum sint!” Che il grido del Papa Santo riecheggi nelle nostre chiese, nelle nostre preghiere. E che le nuvole del male si allontanino dalla Casa di Pietro.