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Le tre missioni che Papa Ratzinger ha portato avanti nel suo pontificato

Non è facile ed è sicuramente prematuro fare un bilancio del pontificato di Benedetto XVI, anche perché ai suoi otto anni di Papa regnante (19 aprile 2005 – 28 febbraio 2013) occorre prendere in esame di suoi dieci anni di Papa emerito, conclusisi il 31 dicembre dell’anno appena trascorso alla veneranda età di 95 anni.

Si preferisce, quindi, ripercorrere la sua lunga e proficua carriera ecclesiastica: due decenni, a partire dalla fine degli anni cinquanta di apprezzato insegnante e autorevole studioso di teologia nelle Università di Bonn, Münster, Tubinga e Ratisbona; quasi cinque anni, dal marzo del 1977 al novembre del 1981, d’intenso impegno pastorale alla guida della grande diocesi di Monaco e Frisinga, a seguito della sua nomina da Paolo VI ad arcivescovo e, dopo alcuni mesi, a cardinale; per oltre un ventennio, infine, dal novembre del 1981, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione per la preparazione del Catechismo della Chiesa cattolica, in strettissima collaborazione con Giovanni Paolo II.

Fondamentale nella formazione umana e religiosa di Joseph Ratzinger, come egli stesso ha più volte ricordato, è l’insegnamento e, ancor più, l’esperienza vissuta della sua famiglia. Della bassa Baviera e di origine contadina e di dignitosa povertà – il padre commissario della gendarmeria e la madre casalinga dopo esperienze di lavoro come cuoca – era profondamente religiosa.

Il futuro Benedetto XVI, nato nel 1927, negli ultimi anni della debole e turbolenta Repubblica di Weimar, maturata assieme al fratello Georg la vocazione al sacerdozio, trovano nel seminario un ambiente protetto nei confronti della propaganda violenta del Nazismo, connotato anche da pulsioni anticristiane, come evidenziò nel 1937 l’enciclica Mit Brennender Sorge di Pio XI. Una via di fuga dalle angosce e dagli orrori del momento, specie quando il Reich scatena la tragedia della Seconda guerra mondiale è la passione per la musica: i due fratelli Ratzinger, da Traunstein corrono in bicicletta nella vicina Salisburgo per godere dei concerti della musica di Mozart.

Ordinato sacerdote a 24 anni, da studente brillante diventa quasi immediatamente apprezzato insegnante. Ottenuta la libera docenza appena trentenne, percorre con successo una carriera accademica, fino alla cattedra di teologia dogmatica nella prestigiosa Università di Ratisbona. Per comprenderne i fondamenti e gli indirizzi è indicativo il titolo della sua tesi di laurea: “Popolo e casa di Dio nella dottrina della Chiesa di Sant’Agostino”.

Molto apprezzato dal cardinale Josef Frings, arcivescovo di Colonia, già esponente della resistenza cattolica al Nazismo, è da lui portato a Roma, all’inizio del Concilio Vatican II ed è nominato “perito teologico”. Riferendosi a quella straordinaria esperienza, Benedetto XVI, più volte, ha ricordato il “dono” degli incontri con Henri de Lubac, Jean Daniélou, Yves Congar, Gérard Philips e con vescovi di tutti i continenti. Sono presenti in lui anche preoccupazioni per il post-Concilio. Ecco una sua sincera testimonianza a posteriori, presente nella sua autobiografia, La Mia vita, pubblicata nel 1997: “Se al ritorno in patria dal primo periodo conciliare mi ero sentito ancora sostenuto dal sentimento di gioioso rinnovamento che regnava dovunque, provavo ora una profonda inquietudine di fronte al cambiamento che si era prodotto all’interno del clima ecclesiale e che era ormai sempre più evidente”.

Tra le sue pubblicazioni, nei primi anni del post-Concilio, è sufficiente ricordare Introduzione al cristianesimo, del 1968, tradotto in 17 lingue, che è stato ristampato più volte.

Nella sua breve esperienza di arcivescovo di Monaco e Frisinga, durante la quale consegue ulteriore prestigio nell’intera Chiesa tedesca, dedica particolare attenzione alla pastorale sulla famiglia e sul matrimonio, con aperture sul ruolo della donna e la sottolineatura del ruolo di testimonianza che la famiglia può dare di una nuova umanità di fronte al dominio del materialismo, dell’edonismo e della permissività.

Centrale e caratterizzante è, invece, nel servizio della Chiesa del cardinal Ratzinger, la guida, per quasi un quarto di secolo, della Congregazione per la Dottrina della Fede. Guida, che, per la sua durata e per la sua fermezza, ha richiamato il precedente del cardinale Alfredo Ottaviani, il “prefetto di ferro” del Sant’Uffizio.

Ha suscitato in particolare malumori e proteste l’allontanamento dalle loro cattedre di teologi come Leonardo Boff, José Maria Castillo, Charles Curran, Jacques Dupuis, Matthew Fox, Ion Sobrino e la condanna della teologia della liberazione. Il vescovo martire mons. Oscar Romero dovette attendere papa Francesco per essere elevato agli onori degli altari.

Nella direzione della Congregazione per la Difesa della Fede il card. Ratzinger ha sempre operato in sintonia profonda con Giovanni Paolo II, che, in occasione del 50° della sua ordinazione sacerdotale, che cadeva nella festività di San Pietro e Paolo, gli scrisse: “In Pietro risalta il principio dell’unità, fondato sulla fede salda come la roccia del principe degli Apostoli; in Paolo, l’esigenza intrinseca del vangelo di chiamare ogni uomo e ogni popolo all’obbedienza della fede”.

Come decano del Collegio cardinalizio, dopo la sua morte, presiede, l’8 aprile del 2005, la messa per i funerali solenni in Piazza San Pietro e quella “pro eligendo Romano Pontifice”, il 17, alla vigilia del conclave, che durò solo due giorni, in quanto la sua elezione avvenne dopo solo quattro scrutini.

Merita di essere riportato un passaggio della sua omelia: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero. La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde, gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo a un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo […]. Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo […] appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. È lui la misura del vero umanesimo […]. Adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. È quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo”.

Nei suoi otto anni di pontificato Benedetto XVI, a partire dalla sua robusta fede e dalla sua vasta cultura teologica e filosofica, ha portato avanti un programma articolato in tre missioni essenziali: vegliare sull’unità dei cattolici; promuovere l’ecumenismo e il dialogo interreligioso; essere una voce etica e religiosa, mantenendo sempre un rapporto tra fede e ragione.

Al riguardo si può arguire che nella scelta del nome Josef Ratzinger abbia avuto presente più e oltre Benedetto XV, Benedetto XIV (1740-1758), al secolo Prospero Lambertini, che aveva rilanciato la Biblioteca Vaticana, riordinato l’Università La Sapienza e, soprattutto, nel contesto della temperie dell’Illuminismo, tentato di dialogare con i nuovi movimenti culturali, sorti anche in ambito ecclesiastico in Europa, interloquendo persino con Voltaire.

La sua decisione, il 28 febbraio del 2013, comunicata durante il Concistoro per tre canonizzazioni – “Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino” – costituisce senza dubbio un gesto evangelico e profetico del ruolo e della missione del pontefice che segna la storia della Chiesa.

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