Il traguardo della filosofia è scoprire la vicinanza di Dio

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Concludiamo queste cinque puntate dedicate alla ricerca di Dio negli ultimi quattro secoli del pensiero filosofico, dal panteismo di Spinoza al razionalismo di Kant, dal nichilismo di Nietzsche all’esistenzialismo di Heidegger, per approdare al lido di partenza: Dio ci è stato rivelato con l’incarnazione in Cristo, non è lontano che dobbiamo cercarlo, non è nella natura, non è nascosto dentro di noi, non siamo noi il Dio che cerchiamo; Dio, l’unico Dio, è davanti a noi e possiamo vederlo appena lo vogliamo, possiamo trovarlo appena lo cerchiamo, possiamo sentirlo quando ci poniamo in ascolto. È tra di noi se lo nominiamo, è dietro di noi quando cadiamo, davanti a noi quando ci rialziamo, ci porta in braccio quando siamo sfiniti.

Quel Dio che si è fatto uomo per noi e ci ha mostrato il suo volto nella sofferenza di Cristo, che ha offerto se stesso per la salvezza dell’intera umanità, venuto a redimere i peccatori e non a lodare i giusti, a sorreggere i malati, i sofferenti, i malandati, i poveri, i puri di cuore, i bambini. Quel Dio tanto lontano dalle logiche terrene, dai calcoli, dalle convenienze, quel Dio che trascende dalla realtà sensibile eppure è in essa ed è anche spirito inesauribile. È il mistero della trinità, comprensibile oltre la ragione, percepibile con il cuore, intuibile con la mente, mostrato dalla fede, vissuto nella speranza, attuato con la carità. È amore assoluto, incondizionato, eterno.

Il percorso tra i filosofi degli ultimi quattro secoli lo ha limitato alla natura (Spinoza) e poi lo ha esteso alla mente (Kant), poi ne ha valorizzato lo spirito (Hegel), lo ha negato (Nietzsche), lo ha dovuto ammettere (Heidegger): eppure Cristo era là, lo avevano visto tutti, ci aveva parlato, per secoli era penetrato nel profondo delle coscienze, per adorarlo o per contrastarlo; Agostino lo aveva scoperto, Tommaso lo aveva esaminato, Savonarola lo aveva annunciato, Campanella lo aveva auspicato, Bruno lo aveva irriso, Kierkegaard lo aveva sofferto. Ma è sempre stato là, accanto per accompagnarci, sopra per guidarci, sotto per sostenerci, dietro per proteggerci, lo abbiamo visto e sentito continuamente, possiamo contrastarlo o negarlo ma non riusciamo ad ignorarlo.

Eppure la speculazione filosofica cerca di farne a meno: abbiamo iniziato questo percorso da Spinoza poiché per primo aveva spostato la ricerca dalla logica all’etica, dal ragionamento al sentimento per dirla semplice, ed aveva colto il seme; abbiamo visto che Kant ha ripercorso il cammino: ha escluso Dio dalla logica ma lo ha recuperato nella morale individuando la direzione verso il bene. Hegel lo ha parafrasato nello spirito assoluto. Nietzsche ha cercato di superarlo spingendo l’uomo oltre Dio ma ha finito per perdere l’uomo. Heidegger lo ha cristallizzato nell’esistenza temporale.

Viene da chiedersi perché affannarsi tanto per ingarbugliare una verità che da duemila anni è visibile a tutti giacché Gesù ci ha mostrato in sé la via, la verità e la vita. Benedetto XVI, nella conferenza di Ratisbona del 2006 su fede e ragione (divenuta famosa per ragioni del tutto contingenti, frutto dell’estrapolazione di una citazione storica riferita al dialogo riportato e non certo al pensiero esposto), parlò espressamente di una ragione estesa e non limitata, per poter comprendere anche gli argomenti della fede: la proposta di ampliare la visione razionale liberandola dai limiti della dimostrazione scientifica ricorda il pensiero tomista che definiva la fede come la scienza delle cose ancora da dimostrare, rivelate alla ragione in forza di una capacità intellettiva di conoscere superando le barriere della fredda analisi logica, abbandonandosi consapevolmente alle ragioni del cuore. E Cristo lo aveva annunciato: il regno di Dio appartiene a chi è come i bambini (Lc 18,16). I bambini vanno oltre la ragione logica e ristretta, essi hanno una ragione che comprende anche i sentimenti, il cuore, guardano più in là, sanno distinguere ciò che proviene dall’intimo, sono aperti all’amore e sanno riconoscerlo, ne hanno bisogno, se ne cibano.

Forse è lì che va riportata l’indagine: la mente va sgomberata dalle fredde analisi logiche, va riportata nel comportamento, nella dimora dell’uomo così tradotto correttamente ethos dal greco, come ha proposto Eraclito guardando al suo destino, va capito perché la logica ci porta da una parte opposta a quella dove spesso vogliamo andare. Va compreso il senso dell’amore, il significato della attrazione spirituale, le ragioni che sostengono le opere di carità, va capito cosa ci spinge a muoverci. È il comportamento che ci rivela: con le mie opere ti mostrerò la mia fede (Gm 2,18).