«Con il senno di poi, non avevo idea di cosa stessi facendo». Si chiamava Alex Kearns, 20 anni. Viveva a Naperville, una piccola città dello stato americano dell’Illinois, e amava suonare il trombone. I suoi genitori non dimenticheranno mai le sue ultime parole, lette sullo schermo del suo laptop. «Se state leggendo queste righe, allora sono morto». Lo scorso 12 giugno, dopo aver appeso un post it sulla porta di camera sua, Alex è uscito in bicicletta e si è tolto la vita. Le ragioni del tragico gesto le spiega lui stesso: su un’app di intermediazione finanziaria ha letto di aver perso 730.165 dollari. Quando le forze dell’ordine hanno sequestrato e analizzato il suo cellulare, si sono trovati di fronte a una tragica verità. Il ragazzo aveva interpretato male le notifiche e il suo saldo era in positivo di 16 mila dollari.
«Com’è possibile che a un ventenne senza reddito si sia potuto dare quasi un milione di dollari di leva finanziaria?». Se lo è chiesto lo stesso Alex a posteriori. Lo strumento che amplia fino a dieci volte la somma investita, moltiplicando non solo i guadagni ma anche le perdite, è alla base delle più moderne piattaforme digitali di trading online. Prodotti come questi vengono scaricate da milioni di utenti nel mondo. A metà tra social network, videogame, gioco d’azzardo e broker, queste applicazioni consentono di comprare e vendere azioni e titoli complessi e condividere i propri successi nella speranza di diventare influencer di Borsa. Si inizia con azioni regalate per testare le modalità di investimento e indurre gli utilizzatori all’ossessione e alla dipendenza.
Ma da dove provengono i guadagni dei gestori di questi servizi? Sicuramente non dalle commissioni sulle transazioni, perché non le applicano. Il denaro arriva soprattutto dai prestiti concessi con la leva finanziaria. Operazioni che appaiono talmente facili, sicure e immediate da diventare frequenti. Si calcola che fra l’inizio dell’anno a oggi milioni di italiani abbiano scommesso su internet risparmi privati e sussidi ricevuti dallo Stato. Tra le parole chiave più ricercate su Google si notano “quali azioni comprare”, “cosa sapere per investire” e “cosa sono i futures sul petrolio”. E tra marzo e aprile questo tipo di domande sono più che triplicate. Il tutto in un periodo di forte crisi, in cui gran parte della popolazione aveva già perso o stava perdendo il posto di lavoro. Persone in difficoltà economica e senza una particolare formazione si sono ritrovate in mano la possibilità di emulare magnati reali e icone cinematografiche dell’immaginario di Wall Street come Warren Buffet, Jordan Belfort e Gordon Gekko.
Ripetuti studi hanno dimostrato che questa febbre speculativa nel 97% dei casi finisce con bilanci in negativo. Eppure si continua a investire. Il motivo lo si ritrova nei forum e nelle chat del settore: integrare salari impantanati da anni e trovare soluzioni rapide alla perdita dell’occupazione. La facilità di accesso alle app attraverso gli store degli smartphone fa il resto. Non dobbiamo però stupirci. Simili atteggiamenti palliativi si ritracciano nella storia degli anni Venti. In quanti hanno davvero imparato la lezione dei mutui subprime del 2008? Ieri come oggi la responsabilità principale è da ricercare nella sempre più amplia diseguaglianza sociale e in un sistema capitalistico incapace di redistribuire reddito e opportunità di istruzione. Siamo seduti su un vulcano pronto ad esplodere. Quando accadrà sarà difficile dire che nessuno lo aveva previsto.