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Il tema della morte tra relativismo e fede

Nei giorni scorsi è morto mio suocero. Un omone di 88 anni dedicati al lavoro ed alla famiglia, con figli, nipoti e pronipoti. Negli ultimi tempi era costretto a casa dal diabete e dalla dialisi, che lo ha logorato piano piano. Si è addormentato senza consapevolezza. Dio ha voluto accoglierlo in silenzio.

Mia moglie stanotte, insolitamente, non ha dormito, era agitata ed insonne, forse perché ieri sera un nipotino che vive con noi le ha detto che in cielo stavano aspettando il suo papà. Preveggenza, casualità, intuizione. Chi può dirlo? A guardare con gli occhi della mente si fa fatica ma appena si apre il cuore le informazioni fioccano liberamente e possono stupirci.

Gesù aveva detto che per entrare nel regno dei cieli occorre essere come i bambini (Mt 18,3), intendeva certo essere puri e liberi da pregiudizi, malizie, cattiverie ed ipocrisie, trasparenti e diretti, con pensieri ed azioni che provengono dal cuore, senza freni né finzioni. È loro l’amore sincero perché incondizionato e spontaneo, semplice e immenso.

E capita anche a noi di stupirci quando ci riusciamo a liberarci da ragionamenti contorti, in cui prevalgono interessi e pregiudizi, vendette e gelosie, quando riusciamo a mettere semplicità nel nostro guardare, quando ci poniamo in ascolto della nostra natura viva, della parola che ci guida da dentro e ci indica il cammino. Chi ha perso un affetto caro sa bene che quella guida, quella voce, quell’immagine rimane presente non solo dentro di noi, come ci dicono la biologia e la neurologia, ma anche intorno a noi, nelle banali cose che ci accadono e che perdono d’un tratto la loro banalità quando sappiamo ricondurle alla presenza di chi ci è vicino: i più sensibili vedono, i più attenti capiscono, i più rigidi raccolgono ma il segno coglie tutti, testimone della presenza costante degli affetti che ci accompagnano. Non vive ei forse anche sotterra si chiede Foscolo nel carme dei Sepolcri poiché celeste è questa corrispondenza di amorosi sensi, e può così rispondere che sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna.

La morte è un tema difficile che il relativismo moderno ha accantonato e nascosto come se non vi dovesse fare i conti: l’uomo globale deve vivere e scongiurare la morte, tenerla lontana il più possibile, relegarla dove non disturba l’andamento dei mercati, poco avvezza al delirio di onnipotenza in cui viene trascinato, con la mente offuscata dal desiderio di sé. Eppure la morte ci è sempre vicina poiché accompagna inesorabilmente la nostra vita anche se facciamo finta di non pensarci: a cominciare dai nostri cari. È abitudine ancora invalsa nel mondo asburgico che i fedeli di una parrocchia siano seppelliti nel sagrato di modo che ricevano visita dei parenti almeno la domenica nelle celebrazioni eucaristiche, proseguendo quel dialogo coi familiari e con gli altri abituali frequentatori che ne ravvivano il ricordo; Foscolo insorse contro l’editto che allontanava i cimiteri dal centro urbano.

Meglio guardarla in faccia, conviverci, sapersi pronti e desti, continuare a dialogare con chi è passato dall’altra parte, confidando nella loro serenità e nella nostra capacità a seguirne gli insegnamenti, i consigli, i moniti e le rassicurazioni: se il nostro è un passaggio meglio allora tenere aperte le porte di comunicazione e fare in modo che lo scambio sia quanto più intenso possibile.

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