Opinione

Sul genere e l’identità

Il DDL Zan, su cui molto si è dibattuto negli ultimi tempi, pone accanto ai concetti di sesso e orientamento sessuale, anche quelli di genere e identità di genere, con l’intento di punire chi discrimina o istiga alla violenza per queste ragioni. Tutti concordiamo sul fatto che ogni tipo di discriminazione e violenza contro le persone in ragione del genere sessuale costituisca una violazione dei diritti umani.

Ho la sensazione che in questo dibattito rischiamo tuttavia di dimenticare tante persone alle quali non viene data voce, che non si ritrovano nelle forme di attivismo lgbt e non ritengono che il loro orientamento omosessuale o la loro disforia di genere debba separarli dal resto della società, come una categoria a parte da proteggere. Nella mia esperienza clinica sto incontrando ragazzi e ragazze alla ricerca della loro identità, con qualche dubbio o già delle certezze in merito al loro orientamento sessuale o alla loro identità di genere: è vero, spesso vivono gravi difficoltà nella sfera personale, affettiva, relazionale, lavorativa.

Prendiamo atto che il contesto talvolta non è preparato ad “abitare” la diversità. A parole è facile dire che la diversità è una ricchezza, ma quando tocca la nostra identità, il nostro corpo, la nostra storia è umanamente difficile accoglierla come un’opportunità. Ciò genera sofferenza: la prima tendenza è quella di rifiutarla e trovarsi a protestare, attaccare qualcuno o qualcosa, allontanare “nemici”. L’affermazione di sé può diventare distruttiva, divide, svaluta, critica, schiaccia l’altro. Ci si accorge a poco a poco che questa tendenza ha un prezzo: si rischia di finire le energie e di trovarsi soli. Sfiniti e soli.

Con i pazienti che vivono difficoltà personali e relazionali in merito al genere sessuale, sto imparando che c’è un altro modo di stare nella sofferenza: prenderne atto rimanendo nella libertà di scegliere. Sto imparando che il vero loro bisogno di protezione trova risposta in un percorso di resilienza. Che l’efficacia dell’inclusione sociale di persone con caratteristiche peculiari passa dall’incontro delle diversità, attraverso un dialogo libero e reciproco, in uno scambio arricchente di pensieri ed esperienze. Non si basa tanto sulla “difesa” dei soggetti o sulla “negazione di caratteristiche peculiari” o sulla “destrutturazione delle differenze”, quanto su un lavoro di consapevolezza e di accettazione dei propri limiti, delle proprie potenzialità, e su scelte possibili personali.

Elisabetta Cimatti, psicologa e psicoterapeuta

Articolo pubblicato su Sempre Magazine

Elisabetta Cimatti

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