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Squid Game: i pericoli a cui vanno incontro i bambini che lo guardano

Squid Game è attualmente la serie tv più seguita di sempre su Netflix. I nove episodi di cui è composto raccontano le vicende di persone disperate, indebitate che accettano di partecipare a sei sfide di sopravvivenza, per vincere denaro. I giochi sono un remake sadico di giochi dell’infanzia. Sono serie programmate da un’organizzazione misteriosa di uomini che portano maschere. È un fenomeno con un successo planetario tutto ancora da esplorare. Destano, però, non poche preoccupazioni le reazioni dei bambini e dei ragazzi che emulano giochi violenti. I genitori sono ovviamente preoccupati. La serie tv coreana è vietata ai minori di 14 anni.

Certamente bisogna capire come comportarsi con bambini o ragazzi che parlano della serie o si trovano a giocare ad “Un, due, tre stella” (uno dei must di Squid Game) in versione violenta. La risposta è una sola: parlarne. È fondamentale, da parte dei genitori, parlarne con i propri figli, chiedere quale sia il loro pensiero, illustrando (laddove opportuno) i rischi che corrono nel vedere scene brutali: paura, ansia e disturbi del sonno sono le problematiche fisiologiche e reattive più comuni. Parlare ha un che di risolutivo in quanto abbassa i livelli di iper-attivazione e di curiosità del bambino. Quest’ultimo inoltre non si troverà da solo ad affrontare possibili pensieri angoscianti ma avrà il supporto pronto dei genitori.

Laddove non arrivano i genitori, la scuola deve fare il suo. Gli insegnanti e gli educatori, tutti, devono creare le condizioni perché se ne parli. L’attualità può e deve divenire lo spunto educativo per favorire una migliore gestione emotiva, senza perdere di vista l’obiettivo primo della scuola stessa: facilitare l’apprendimento. L’integrazione tra formazione e contatto con la realtà circostante non può essere più un’opzione ma un dovere educativo di una società che prepara al futuro, attraverso una cultura responsabile.

I problemi più seri insorgono quando i bambini vedono Squid Game senza censure. Il rischio di emulazione è altissimo, in molti casi scontato. Gli incubi notturni e l’assuefazione alla violenza possono essere fattori di rischio predittivi di un’incapacità di cogliere quale sia la discriminante tra ciò che è violenza e ciò che non lo è. In tal modo anche la formazione della propria morale da parte del bambino è condizionata.

Esistono troppi stimoli telematici. Eppure, la potenza della lettura di un libro, anche breve, non ha pari. Un bambino che legge sembra, oggi, una nota stonata nello spartito della nostra società. Invece è musica vera vedere un bimbo che legge, che incontra personaggi, anche violenti, attraverso gli occhi dell’immaginifico perché può conoscere il quid che esiste tra il già e il non ancora, senza che tutto sia subito visibile. È il gusto dell’attesa che non fa audience ma contribuisce alla maturazione dell’Io. Neanche 5 milioni di like possono sostituire la bellezza di un testo, l’incontro di un’emozione da persona a persona.

Per chi proprio non può fare a meno di programmi a sfondo violento come Squid Game, è importante avere un ruolo di mediazione. È bene evitare di vietare a priori la visione di un programma, Squid Game, nello specifico. È molto rilevante il confronto. Al cospetto del mondo telematico bisogna arrivarci dopo averne parlato bene. Ci vogliono regole su tempi, siti e modalità.

Inoltre, molto interessante è il vademecum diffuso sui social dalla Polizia postale, che parla di “un fenomeno molto pericoloso che va di moda tra i bambini”. I consigli utili per le famiglie consistono nel ricordare che la serie Squid Game è stata classificata, come detto, “vietata ai minori di 14 anni” e “questa limitazione indica che i suoi contenuti possono turbare i minori con intensità variabile a breve e lungo termine”, nel valutare “se possa essere utile guardare la serie prima di esprimere assenso o dissenso alla visione dei vostri figli” se hanno più di 14 anni, in modo da “essere più precisi e consapevoli di quali siano gli elementi critici su cui poggia la vostra decisione” ed in modo da potersi confrontare “in modo convincente ai vostri figli”. Ça va sans dire. Nucleo dominante per prevenire e fronteggiare a seconda dei casi: la famiglia. È molto importante “ricordare ai bambini e ai ragazzi che quanto rappresentato nelle serie è frutto di finzione” e che “la violenza non è mai un gioco a cui partecipare”.

Il dialogo in famiglia deve tener conto del fatto che i nativi digitali hanno una visione differente da quella degli adulti e può essere utile conoscere il loro punto di vista sui rischi e sui fenomeni emergenti”. Non bisogna in alcun modo esitare nel segnalare al sito Internet della Polizia postale se si viene a conoscenza del fatto che stanno circolando, tra i bambini e i ragazzi, giochi violenti che imitano quelli ritratti nella serie. L’emulazione è il rischio maggiore e bisogna affrontarlo con attenzione massima e capillare.

Cari genitori, affiancate i vostri figli. Sedetevi al loro fianco. Parlate di cosa stanno guardando e ragionate insieme… Ad un certo punto, però, voi, noi genitori, uno sforzo possiamo e dobbiamo farlo: ritornare a ciò che favorisce le emozioni anche più semplici ma più sane. È davvero così obsoleto condividere un disegno ben fatto? È davvero così antico leggere una storia divertente insieme? È, insomma, così anacronistico condividere insieme la curiosità di sfidarsi ad un gioco di società? E, insisto, davvero leggere crea emozioni di minor qualità di uno Squid Game? Sicuramente meno impattanti, ma, permettetemi, non meno coinvolgenti. Forse tali osservazioni potranno rimanere un grido nel deserto…

Eppure, se mi guardo attorno, vedo e sento tante persone vogliose di ritornare all’essenziale, a ciò che genuinamente ci rende meno nevrotici, più sereni, più in pace con noi stessi e con gli altri, verso una vita tra esseri umani in relazione, finalmente con lo sguardo verso un altro sguardo e non verso un monitor. No, non è un miraggio…

Forse scriverne, parlarne, continua a rinsaldare una speranza concreta di maggiore umanizzazione delle nostre vite. Farlo significa alimentare la voglia di riaprire le vie emotive che contano. Ecco che allora anche un deserto può ripopolarsi di persone che hanno un desiderio comune: vivere le emozioni come uomini più che come macchine.

E sapete qual è l’«acqua» che può condurci in questo deserto? Il dialogo, la parola, l’incontro. Non arrendiamoci. I monitor degli Squid Game aumentano. Ma l’«acqua» del dialogo può dissetarci come nient’altro al mondo. Torniamo alla sorgente, ora.

Prof. Alfredo Altomonte: