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Quando gli spyware possono diventare armi minacciose

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Il coltello da cucina nasce per tagliare il pane o la carne. Se lo brandisce un assassino probabilmente la posata – fino a quel momento “innocua” – diventa uno strumento di morte.

I software di controllo servono per contrastare il terrorismo, ma se li si adopera per spiare avversari politici, attivisti per i diritti umani, presunti dissidenti o semplici giornalisti quei programmi diventano una minaccia per la libertà di espressione, per l’indipendenza dell’informazione, per la democrazia, per il futuro della civiltà contemporanea.

Un certo tipo di arsenale accomuna realtà antitetiche ed acerrimi nemici che – arroccati a iperboliche distanze ideologiche – si rivolgono al medesimo fornitore per farsi dispensare le armi per acquisire la supremazia della conoscenza, per scovare segreti, per intimidire, per ricattare, per condizionare le scelte.

Israele e Arabia Saudita, a dispetto della spigolosa facciata delle storiche ostilità e dell’assenza di relazioni diplomatiche, hanno avuto incontri segreti a Vienna, Cipro e Riyadh. Da una parte del tavolo gli israeliani rappresentanti commerciali di TSO, dall’altra gli acquirenti arabi della “specialità della casa” ovvero il sistema Pegasus. Pecunia non olet e nell’effervescente universo del business i principi passano facilmente in secondo piano….

Avvezzi a considerare venditrice di morte l’industria bellica, dovremmo includere in quel ruolo anche chi sviluppa i cosiddetti “RCS” o remote control system, quei software che – inoculati come una venefica dose per endovena nei circuiti elettronici – acquisiscono il controllo a distanza di un dispositivo informatico (computer, tablet, smarphone…).

Inutile però scandalizzarsi se Israele guadagna con certe discutibili invenzioni e a servirsi di certe soluzioni sono il governo messicano o quello dell’Azebarijan. Le stesse cose, magari con nomi diversi, le produciamo anche noi in Italia e persino la magistratura ne fa un uso non sempre consapevole delle incontenibili potenzialità che certe applicazioni hi-tech sono capaci di estrinsecare.

Le vicende di Hacking Team o il più recente caso Exodus testimoniano che non siamo diversi dai soggetti verso i quali adesso si riversano impetuose ondate di sdegno.

Questi spyware (o trojan, chiamateli come preferite) si installano facilmente su qualunque aggeggio sia nella disponibilità della persona presa di mira. Il recapito della “polpetta avvelenata” avviene attraverso l’invio di un SMS o di un “WhatsApp”, oppure mediante una mail o con qualunque altra opportunità di messaggistica, persino facendo ricorso ad una qualunque pagina web.

Una volta accomodatosi sul dispositivo “target” questo genere di software ne prende il dominio assoluto, governandone tutte le funzioni e utilizzando senza limiti la globalità degli accessori a bordo. Il tizio da colpire viene “tradito” dal microfono e dalla telecamera che riteneva inoffensivi, lascia a chi agisce in suo danno la possibilità di leggere la posta elettronica e frugare in ogni angolo della “memoria”, registra inconsciamente telefonate e conversazioni per poi spedirle a “chi di dovere”, comunica involontariamente la propria posizione così da consentire il continuo e costante pedinamento…

Chi gestisce questa infamia può anche “caricare” su quel dispositivo una ampia serie di contenuti che non sono mai stati né visti, né acquisiti o conservati dal legittimo possessore di un telefonino o di un PC. E quest’ultimo potrà essere anche incriminato per la disponibilità di file che lo incastrano senza che lo sventurato abbia mai saputo della loro esistenza e ancor meno della loro presenza all’interno del telefono o del disco fisso del computer.

Le brutali esecuzioni di Giulio Regeni e Jamal Khashoggi sono soltanto due delle tante pagine insanguinate dei nostri tempi.

Le Nazioni Unite dovrebbero adottare provvedimenti severi, ma l’inerzia nell’affrontare beghe colossali e l’incompetenza tecnica per comprendere la gravità di queste situazioni riducono una questione di inestimabile caratura ad un evento capace di galleggiare solo qualche giorno sui mezzi di informazione.

Il fragore del silenzio istituzionale è allineato al disinteresse che precedenti abnormi esperienze non sono riuscite nemmeno a scalfire. Se ne riparlerà, con nonchalance, tra qualche mese al verificarsi del prossimo scandalo

Umberto Rapetto: