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La speranza, lo sguardo oltre la percezione

Un bel dì vedremo, fa cantare Puccini alla sua eroina giapponese, che attende il ritorno del suo sposo di fronte ai dubbi della fedele serva Suzuki: l’aria, un capolavoro di equilibrio melodico di rara efficacia, può definirsi un inno a questa virtù capace di dividere l’umanità tra ottimisti e pessimisti, propositivi e disfattisti, sognatori e realisti, speranzosi e disperati.

La giovane fanciulla mandata in sposa all’ufficiale americano sogna il ritorno del marito, per sé e per il bambino nato dal proprio amore, superando l’evidenza del mancato ritorno da ben tre anni e rifiutando di farsene una ragione. Illusa? Speranzosa: aspetto gran tempo e non mi pesa la lunga attesa rivela trepidante; la verità apparirà presto e sarà tragica per la giovane: il marito è sposato con un’americana e verrà a prenderle il bambino, infrangendo il sogno che la porterà al tragico epilogo del sacrificio di se stessa.

L’attesa non muta il vero, quel che dovrà accadere non è figlio della speranza o della diffidenza, accade per motivi indipendenti ed ovviamente non noti; la differenza è nel diverso atteggiamento nel cammino verso la verità. Chi avrà sperato sarà soddisfatto o deluso, chi avrà diffidato si ricrederà o constaterà la sua previsione negativa. Ma quanta differenza c’è nella strada dell’uno o dell’altro: il primo avrà gioia ed aspettativa, fiducia ed impegno, un’attesa feconda; il secondo sarà freddo ed astioso, preoccupato e disincantato: un’attesa funesta. L’epilogo porterà soddisfazione all’uno ma incredulità all’altro, delusione per il primo o rassegnazione per il secondo, ma la diversa conclusione per l’uno o per l’altro non vale la rinuncia ai benefici della speranza, ancorché possa essere vana.

È il viaggio verso la meta che è diverso, illuminato dalla visione positiva, dalla fiducia nel bene, dalla bellezza del sogno, dalla crescita, dal trepidare man mano che la sicurezza affiora, dal timore piano piano che la meta si allontana, in una pulsione crescente e continua, che rafforza e tiene vivi; di contro, una fredda e piatta visione; caldo contro freddo, bianco contro nero, chiaro o scuro, illuminato o buio, cotto crudo, morbido duro. Potremmo continuare all’infinito nel separare i due mondi divisi solo dal diverso atteggiamento con cui ci poniamo: entrambi i due mondi sono reali ma prediligiamo quello roseo rispetto a quello plumbeo. La letteratura è ricolma di immagini di felicità nell’attesa e pure Leopardi non esita a definire questo di sette è il più gradito giorno, pien di speme e di gioia, riferendosi al sabato del villaggio, per dimostrare che la felicità è nell’attesa.

Perché l’attesa è l’aspettativa e quest’ultima è il desiderio ed il desiderio è la rappresentazione del bene, è l’anelito, è l’anticipazione immaginaria della visione, è l’illusione del sogno. Viverne senza sminuisce il valore di quello che si ha e rende sterile quello che si è; spegne anche l’impegno, riduce al nichilismo, interrompe il viaggio o almeno la sua bellezza.

La speranza non va ridotta all’illusione dell’attesa destinata a svanire o al sogno fugace che si dilegua al risveglio ma è la sincera attenzione a ciò che sta per accadere ed a ciò che può succedere, la valorizzazione dell’impegno serio e proficuo cui segue l’aspettativa fiduciosa, nel prossimo come nel mondo; la speranza, nella sua positiva visione del mondo, ne accresce il valore e la bellezza, ne completa l’immagine: l’eroina pucciniana vive di quel suo sperare senza il quale sarebbe morta disincantata il giorno della partenza del marito.

La speranza è lo sguardo oltre la percezione fisica che guida l’azione umana, che ne giustifica il fine e ne sostiene gli sforzi: dove e come si rivolgerebbe l’agire di chi non nutre speranza! Essa è l’elemento vitale per eccellenza, ciò che tiene viva l’attesa, anche nei momenti drammatici poiché adda passa’ a nuttata fa confidare alla moglie in pena al capezzale della figlia ammalata la saggezza di Eduardo De Filippo.

Vorrei definire la speranza come la parte dinamica della fede, questa sicura certezza, l’altra palpitante emozione, l’una solido appiglio che consente il sereno riposo, la prima inquieta agitazione che tiene svegli e vigili, entrambe accomunate dalla consapevolezza che la mia carne riposerà nella speranza (At. 2,26)

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