Nel dicembre del 1914 in Europa, dall’inizio di agosto infuriava la guerra tra le potenze dell’Intesa (Francia, Impero Britannico e Impero Russo) e l’Impero Tedesco e quello Austroungarico. L’Italia, terzo partner della Triplice Alleanza, aveva optato per il non intervento e, nel maggio del 1915, entrerà anch’essa nel conflitto, schierandosi con il campo avverso. Guerra Europea fu subito definita dalle cancellerie, mentre le decine di milioni di giovani soldati mobilitati e i loro familiari subito la chiamarono la Grande Guerra. Grande non solo per il numero di Stati coinvolti con i due schieramenti, ma per la mole di armi messe in campo, per la capacità distruttiva da esse raggiunta e per il conseguente numero di vittime.
Quasi un milione in pochi mesi. La previsione iniziale degli Austroungarici di sconfiggere rapidamente la Serbia, accusata di avere organizzato l’attentato di Sarajevo in cui aveva perso la vita l’erede al trono degli Asburgo, Francesco Ferdinando, e, soprattutto, degli strateghi tedeschi di ripetere un Blitz Krieg (guerra lampo) contro la Francia, si era rivelata errata.
Sul fronte occidentale in particolare si era rapidamente passati dalla guerra di movimento alla guerra di posizione e di logoramento. Per aggirare le efficaci difese della Linea Maginot, l’esercito tedesco aveva invaso il Belgio, provocando l’intervento del Regno Unito, garante della sua neutralità. Ne consegue il contro bilanciamento all’indubbia superiorità tedesca e ha inizio l’inedita situazione efficacemente descritta già nel titolo del grande romanzo pacifista di Eric Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale.
Niente di nuovo per quanto concerne le operazioni strategiche ma quotidiani eccidi di soldati, per mesi ormai, soprattutto con la fine dell’estate, letteralmente impantanati nelle trincee contrapposte, distanti poche centinaia di metri e divise da una terra di nessuno, disseminata di reti di filo spinato. I sistematici bombardamenti della potente artiglieria e la micidiale mitragliatrice nei frequenti tentativi di sfondamento, con scontri anche all’arma bianca con le baionette dei moschetti, provocano centinaio di migliaia di morti e feriti.
Benedetto XV nella seconda settimana di avvento, il 7 dicembre, propose una tregua per la festività del Natale. Senza successo, come sconsolato confessò al Collegio dei cardinali nel discorso della vigilia: “Noi, sia in pubblico che in privato, nessuna via lasciammo intentata affinché il consiglio, il volere, il bisogno della pace fossero bene accolti. Fu anche a questo scopo che ci balenò alla mente il proposito di schiudere, in mezzo a queste tenebre di bellica morte, almeno un raggio, un solo raggio del divin sole della pace, ed alle nazioni contendenti pensammo di proporre, breve e determinata, una tregua natalizia, accarezzando la fiducia che, ove non potessimo dissipare il nero fantasma della guerra, ci fosse dato almeno di apportare un balsamo alle ferite che essa infligge. […] Purtroppo la nostra cristiana iniziativa non fu coronata di felice successo”.
Eppure la notte di Natale, la notte santa, come si diceva allora, in territorio belga, nelle Fiandre, vicino a Ypres, che diverrà tristemente famosa, perché nel 1916 sarà il luogo di sperimentazione dell’uso militare dei gas tossici, il miracolo della tregua avvenne. Dal basso, per iniziativa dei soldati di più rigida disciplina, quelli tedeschi, che, dopo aver messo delle candele ai bordi delle proprie trincee e su degli alberi, escono disarmati, con le mani alzate, preoccupati, ma sorridenti, cantando Stille Nacht, Heileghe Nach, e i soldati inglesi che li fronteggiano, escono dalle proprie trincee e vanno loro incontro, rassicurati da alcuni cartelli improvvisati dove è scritto in un inglese essenziale “we not shoot, you not shoot” (noi non spariamo, voi non sparate).
Nei giorni successivi, fino alla notte di capodanno, episodi simili si ripeterono in molti punti del fronte occidentale, coinvolgendo soldati tedeschi, inglesi, francesi e belgi.
Il giornalista-storico tedesco, Michael Jürgs, in un libro tradotto anche in italiano con il titolo, La piccola pace nella Grande Guerra. Fronte occidentale 1914: un Natale senza armi (Il Saggiatore 2010), ha ricostruito, con documenti d’archivio diari, fotografie e e lettere, come circa 100.000 soldati dei due schieramenti furono coinvolti in episodi di tregue spontanee.
Non si tratta più delle sospensioni dei combattimenti, sospettosamente concordate dai comandi militari, per ritirare dalla terra di nessuno i cadaveri dei propri caduti, ma di improvvisi e gioiosi scioperi della guerra; momenti di fraternizzazione, brevi ma intensamente vissuti, durante i quali ci si incontra, si scambiano doni alimentari, liquori e sigarette, si mostrano reciprocamente le fotografie delle proprie fidanzate, si cantano insieme i canti natalizi e si organizzano persino delle partite di pallone e dei balli. Il tutto contro le disposizioni dei rispettivi comandi militari che preferiscono prudentemente non impedirli, ma poi si impegneranno a stendere su di essi un velo di silenzio.
Solo negli Stati Uniti, pase ancora neutrale, fu diffusa la notizia di questi straordinari eventi. Il 31 dicembre pubblicò un servizio il New York Times, e solo l’8 gennaio, in Inghilterra ne diedero notizia il Daily Mirror e, con un lungo articolo, corredato di illustrazioni, il periodico The Illustred London. Silenzio completo, invece, nella stampa francese e tedesca, come hanno documentato Michael Morpurgo e Michael Foreman nel libro, La trêve de Noël (Gallimard Jenesse 2018).
Come sempre più avviene, è stato, però, un film a diffondere nel grande pubblico la memoria della tregua di Natale del 1914, con la capacità di evocazione e suggestione che le immagini in movimento hanno, ben più potenti dei libri. Si tratta del film di Christian Carion, uscito nel 2005, frutto di una emblematica coproduzione Francia, Germania, Gran Bretagna, Romania. Il titolo in francese è semplicemente Joyeux Noël. Nella versione italiana si è preferito, per fini didattici, aggiungere un sottotitolo: Joyeux Noël. Una verità dimenticata dalla storia.
Volesse il cielo che, a oltre un secolo di distanza, nella terribile guerra in corso nella tormentata Ucraina, nel Natale ortodosso che cade il 7 gennaio dell’imminente nuovo anno, possa realizzarsi il miracolo di una tregua, come continua a chiedere con forza Papa Francesco nonostante il rifiuto dei due contendenti e lo scarso entusiasmo degli Stati europei e delle potenze mondiali. Gli uni e le altre sembrano non comprendere che le guerre tutte, sono sempre, come scrisse, nel 1917, il già menzionato Benedetto XV, nella famosa Nota ai capi dei popoli belligeranti, una “inutile strage”.