Il 30 Agosto, in tutto il mondo, si celebra la Giornata Internazionale delle persone scomparse, dei desaparecidos (termine che si diffuse in America Latina negli anni Settanta).
È un crimine contro l’umanità, ripetutamente condannato e combattuto a tutti i livelli: basti pensare che le Nazioni Unite hanno istituito un Comitato speciale che si occupa proprio di questo problema. Eppure, è presente in decine e decine di paesi. Impressionante il numero di persone scomparse nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa (MENA). Si badi bene: non si tratta di sparizioni “normali”. Uomini, donne e bambini di cui si perdono le tracce e mai più ritrovati (tranne rare eccezioni). Spesso per mano di soggetti statali.
La caratteristica più impressionante forse è proprio questa: la responsabilità delle autorità. Non c’è da sorprendersi: la stragrande maggioranza degli stati MENA non ha mai ratificato la Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate (ICPPED). Sorprendentemente, anche molti paesi sviluppati non l’hanno firmata o ratificata.
Dei 22 paesi della Lega Araba, solo sei lo hanno fatto (Iraq, Mauritania, Marocco, Oman, Sudan e Tunisia). Eppure i rappresentanti di alcuni di questi paesi siedono ai tavoli decisionali delle Nazioni Unite. In Arabia Saudita, le forze di sicurezza statali sono accusate delle sparizioni forzate di giornalisti, difensori dei diritti umani e individui che esercitano il proprio diritto alla libertà di espressione. Dopo aver ricevuto informazioni sugli “ostacoli all’attuazione della Dichiarazione del 1992 sulla protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate” che sono stati descritti come “pervasivi e deliberati” e “incorporati nel quadro legale, istituzionale e politico dell’Arabia Saudita”, nel 2020, il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate o involontarie inviò alle autorità saudite una lettera di accusa. Ma senza alcun risultato.
Impressionanti i numeri. In Iraq, uno dei paesi dove maggiore sarebbe il numero di persone scomparse al mondo, la Commissione Internazionale sulle Persone Scomparse (ICMP) stima che sono tra 250.000 e un milione gli iracheni di cui non si sa più niente (dal 2003). In questo paese sarebbero 420 i luoghi di detenzione segreta. Decine le denunce ricevute dal Comitato delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate. Situazione analoga in Siria. Qui, tra marzo 2011 e marzo 2021, sarebbero almeno 101mila le sparizioni forzate. E circa l’85% di queste sparizioni sarebbero state opera del regime (le restanti sarebbero opera delle Forze democratiche siriane, dell’Esercito nazionale siriano, dell’ISIS e di Hay’at Tahrir al-Sham). Lo stesso in Libia, dove gli sforzi della comunità internazionale per porre fine agli scontri che vanno avanti da decenni non sono serviti a molto: secondo Avvocati per la Giustizia in Libia (LFJL), spesso, gli scomparsi sono vittime di esecuzioni extragiudiziali o sommarie. Anche in Egitto sono molti i detenuti scomparsi dopo l’arresto: ai familiari e agli avvocati che chiedono notizie dei propri cari e clienti, le autorità spesso negano di averli mai avuti in custodia. Una situazione che ricorda molto il trattamento riservato ai terroristi o presunti tali in uno dei paesi paladini dei diritti umani del pianeta, gli Stati Uniti d’America: anche qui il fenomeno degli scomparsi è più diffuso di quanto si potrebbe pensare.
In Sud America, spesso, si parla di questo fenomeno solo dopo il ritrovamento di fosse comuni e di cadaveri sciolti nella soda caustica. Solo l’11% dei 1.236 cadaveri sepolti in fosse comuni scoperte nel Messico dal 2007 al 2013 sono stati identificati. Una prassi molto più diffusa di quanto di possa pensare. Un documento russo reso noto poco prima della guerra con l’Ucraina, parla di “Sepoltura di cadaveri urgenti in tempo di guerra e di pace. Requisiti generali”. Ma già ai tempi della guerra in Cecenia, nel 1994, erano state scoperte fosse comuni contenenti centinaia di cadaveri. Nel 2008, ne sono state scoperte almeno 57 nelle quali sarebbero stati sepolti almeno 5mila civili scomparsi dall’inizio della seconda guerra cecena. Quell’anno, a Groznyj è stata scoperta una grande fossa comune contenente circa 800 corpi.
Anche in Ucraina, dopo l’inizio del conflitto con la Russia, sono state trovare diverse fosse comuni. L’ultima a Bucha, contenenti centinaia di civili vittime di sparizioni forzate. Morti. Uccisi non si sa da chi. E nessuno che voglia rispondere alle domande dei loro familiari. Così anche in Algeria, Marocco, Pakistan, Bosnia-Erzegovina, Kosovo e in tanti altri paesi: le richieste di informazioni dei familiari, dei legali e delle autorità internazionali non ricevono mai risposta.
Stando ai rapporti presentati dal Comitato delle Nazioni Unite per le sparizioni forzate, pare che la situazione stia peggiorando. Dopo la missione in Grecia lo scorso aprile, i membri del Comitato hanno detto di essere “seriamente preoccupati per la criminalizzazione delle attività di ricerca e soccorso in mare ai sensi della legislazione nazionale e per l’azione penale e le minacce contro i difensori dei diritti umani coinvolti nel salvataggio delle vittime di sparizioni forzate e respingimenti”. Secondo le autorità delle Nazioni Unite, “Ci sono state segnalazioni sull’alto numero di migranti che erano scomparsi nelle acque greche del Mediterraneo e del fiume Evros mentre tentavano di raggiungere la Grecia”. Come sempre, anche in Grecia, la risposta delle autorità è stata lacunosa: “Il Comitato si rammarica di non aver ricevuto alcuna statistica ufficiale al riguardo. Ha raccomandato alla Grecia di raddoppiare gli sforzi per prevenire e indagare sulla scomparsa dei migranti, anche in relazione ai respingimenti e alle navi che arrivano via mare o attraverso il fiume Evros, e di garantire che i responsabili siano perseguiti. Ha inoltre chiesto alla Grecia di intensificare gli sforzi per cercare, localizzare e, in caso di decesso, identificare e restituire i resti dei migranti scomparsi, compresi i minori non accompagnati”.
Il numero dei desaparecidos in Europa potrebbe aumentare considerevolmente a causa della decisione di alcuni paesi di far “sparire” migranti e rifugiati spedendoli in paesi africani. Paesi come Regno Unito e Danimarca (ma la stessa Commissione europea aveva proposto questa soluzione qualche anno fa) hanno deciso di spedire i richiedenti asilo che varcano i loro confini in Ruanda o nello Zimbabwe. É solo l’ennesima violazione dei diritti umani. L’ennesima violenza sia fisica che psicologica cui uomini, donne e bambini sono sottoposti. Con l’aggravante della complicità delle autorità e il silenzio dei paesi “amici”. Un comportamento che non deve sorprendere: a molti paesi (85 secondo i dati dell’OHCHR) non interessa combattere le sparizioni forzate. OHCHR Dashboard (si veda image.jpg) Una conferma che il numero delle “sparizioni forzate” potrebbe essere molto maggiore di quello che si dice nella Giornata Mondiale loro dedicata.